10 opinioni laiche perplesse o contrarie a matrimoni e adozioni gay

Uno degli strumenti più utili per formarsi un’opinione sui matrimoni gay è il confronto con le posizioni maturate da studiosi, commentatori, personalità di spicco, intellettualmente influenti.

Dato che, ultimamente, la discussione ha assunto toni da crociata e partigianeria ideologica, trascendendo in offese poco lucide e radicandosi in uno scontro inconciliabile, abbiamo tentato di raccogliere le testimonianze espresse un po’ più indietro nel tempo, quando ancora la faziosità odierna non aveva iniettato gli occhi di sangue a nessuno, annebbiando la vista.

Qui sono state privilegiate le testimonianze laiche e di intellettuali non attualmente militanti in uno schieramento o nell’altro. Non perché prive di spessore o non degne di nota, ma perché le argomentazioni di Massimo Gandolfini, del Cardinale Angelo Bagnasco, di Paolo Hutter e di Paola Concia sono già abbondantemente note, riportate e replicate su tutti i mezzi di informazione.

Ma leggiamo anche: 10 opinioni laiche a favore di matrimoni e adozioni gay

Carlo Nordio, 2016

“Primo. Per migliaia di anni, in tutte le latitudini e in tutte le civiltà, l’officio educativo è stato affidato (laddove possibile) a padre e madre. Secondo. La nostra Costituzione all’articolo 29 definisce la famiglia come società naturale fondata sul matrimonio, e all’articolo 30 disciplina la paternità e la sua ricerca (a proposito: ma credete veramente che Togliatti e Terracini, per non parlare di De Gasperi e Saragat, potessero lontanamente pensare a un’adozione da parte di gay?). Terzo. Nella tradizione culturale laico-illuministica ogni forma educativa diversa da quella impartita dalla famiglia tradizionale è stata sempre guardata con sospetto e sarcasmo, anche quando proveniva da filosofi come Platone, Campanella e Rousseau. Bene. Se queste tre proposizioni sono vere, e credo sia difficile contestarle, vale la pena di innestare una sorta di guerra di religione su un argomento che andrebbe trattato con rigore etico e soprattutto logico? Non solo per la doverosa attenzione alle aspettative degli aspiranti genitori, ma anche per la riverente cura degli interessi di chi, nascituro o bambino, oggi non si può pronunciare.”

(Da: “Adozioni gay e famiglia, perché servono rigore etico e logico”, Il Mattino 19 gennaio 2016)

Sergio Romano, 2014

“Le parole non sono scatole vuote. Racchiudono il significato che hanno assunto con il passare del tempo e lo trasmettono alle generazioni future. Matrimonio, in particolare, è la parola con cui una larga parte dell’umanità descrive l’unione fra un uomo e una donna, benedetta da Dio o certificata dallo Stato. Utilizzarla per unioni diverse è un furto di tradizione che non conviene neppure agli omosessuali. Chiedono un diritto nuovo e dovrebbero desiderare che per l’esercizio di questo diritto venga adottata una parola nuova. È un desiderio legittimo? Lo Stato moderno non rilascia diplomi di moralità sessuale, non deve decidere se l’omosessualità sia un abominevole vizio o, più semplicemente, una variante della umana sessualità. Se il fenomeno è socialmente rilevante, lo Stato deve prenderne atto e regolarne le conseguenze fra cui, in particolare, quelle patrimoniali. Ma potrà farlo soltanto se avrà prima deciso quando e come un rapporto sessuale diventi unione. Occorre, in altre parole, una norma.”

(Da: Lettere al Corriere, Corriere della Sera, 19 Ottobre 2014)

Silvia Vegetti Finzi, 2013

“L’Edipo, che Freud definisce ‘architrave dell’inconscio’, è il triangolo che connette padre, madre e figlio. Entro le sue coordinate si svolgono i rapporti inconsci erotici e aggressivi, animati dall’onnipotenza Principio di piacere, ‘voglio tutto subito’, che coinvolgono i suoi vertici. Per ogni nuovo nato il primo oggetto d’amore è la madre ma si tratta di un possesso sbarrato dal divieto dell’incesto, la legge non scritta di ogni società. Questa impossibilità è strutturante in quanto mette ognuno di fronte alla sua insufficienza (si desidera solo ciò che non si ha) e alla correlata impossibilità di colmare la mancanza originaria.

Il figlio che vuole la madre tutta per sé innesca automaticamente una rivalità nei confronti del padre, che pure ama e dal quale desidera essere amato. La contesa, che si svolge nell’immaginario, termina per due motivi: per il timore della castrazione, la minaccia di perdere il simbolo dell’Io, e per l’obiettivo riconoscimento della insuperabile superiorità paterna. Non potendo competere col padre, il bambino s’identifica con lui e sceglie come oggetto d’amore, non già la madre, ma la donna che le succederà.

Attraverso questo gioco delle parti, il figlio rinuncia all’onnipotenza infantile, prende il posto che gli compete nella geometria della famiglia, assume una identità maschile e si orienta ad amare, a suo tempo, una partner femminile. Tralascio qui il percorso delle bambine, troppo complesso per ridurlo a mera specularità. Ma già quello maschile è sufficiente a mostrare come l’identità sessuale si affermi, non in astratto, ma attraverso una ‘messa in situazione’ dei ruoli e delle funzioni che impegna tanto la psiche quanto il corpo dei suoi attori.

Se, come sostiene Merleau Ponty, ‘noi non abbiamo un corpo ma siamo il nostro corpo’, non è irrilevante che esso sia maschile o femminile e che il figlio di una coppia omosessuale non possa confrontarsi, nella definizione di sé, con il problema della differenza sessuale.. La psicoanalisi non è una morale e non formula né comandamenti né anatemi ma, in quanto assume una logica non individuale ma relazionale, mi sembra particolarmente idonea a dar voce a chi, non essendo ancora nato, potrà fruire soltanto dei diritti che noi vorremo concedergli”.

(Da: Ai bambini servono entrambe le figure, Corriere della Sera-27esima ora, 2 gennaio 2013)

Ernesto Galli della Loggia, 2012

“Bernheim (Gilles Bernheim, Gran Rabbino di Francia, autore del saggio ‘Matrimonio omosessuale, omoparentalità e adozione’ NdR) inizia con il punto decisivo, e cioè contestando che tali temi abbiano come vera posta in gioco un problema di eguaglianza dei diritti. In gioco invece, scrive, è ‘il rischio irreversibile di una confusione delle genealogie, degli statuti e delle identità, a scapito dell’interesse generale e a vantaggio di quello di un’infima minoranza’.

In un modo che a me sembra condivisibile anche dal punto di vista di un non credente egli smonta uno ad uno gli argomenti abitualmente usati a favore del matrimonio omosessuale: dall’esigenza della protezione giuridica del potenziale congiunto, all’importanza del volersi bene (‘non si può riconoscere il diritto al matrimonio a tutti coloro che si amano per il solo fatto che si amano’: per esempio a una donna che ami due uomini); alle ragioni affettive che giustificherebbero l’adozione di un bambino da parte di una coppia omosessuale.

‘Tutto l’affetto del mondo non basta a produrre le strutture psichiche basilari che rispondono al bisogno del bambino di sapere da dove egli viene. Il bambino non si costruisce che differenziandosi, e ciò suppone innanzi tutto che sappia a chi rassomiglia. Egli ha bisogno di sapere di essere il frutto dell’amore e dell’unione di un uomo, suo padre, e di una donna, sua madre, in virtù della differenza sessuale dei suoi genitori’. Ancora: ‘il padre e la madre indicano al bambino la sua genealogia. Il bambino ha bisogno di una genealogia chiara e coerente per posizionarsi come individuo. Da sempre, e per sempre, ciò che costituisce l’umano è una parola in un corpo sessuato e in una genealogia’. Bernheim non solo prende di petto il proposito caro a molti militanti omosessuali di sostituire al concetto sessuato di ‘genitori’ quello asessuato e vacuo di ‘genitorialità’ e di ‘omoparentalità’, ma sostiene che non può parlarsi in alcun modo di un diritto ad avere un figlio: ‘la sofferenza di una coppia infertile non è una ragione sufficiente per ottenere il diritto all’adozione. Il bambino, sottolinea, non è un oggetto ma un soggetto di diritto. Parlare di diritto a un figlio implica una strumentalizzazione inaccettabile’”.

(Da: Quando le religioni sfidano il conformismo sui gay, Corriere della Sera, 30 dicembre 2012)

Giuseppe Di Mauro, 2012

“Sulla base della letteratura scientifica disponibile, i bambini sembrano più adatti ad avere una vita adulta con successo quando trascorrono la loro intera infanzia con i loro padri e madri biologici sposati e specialmente quando l’unione dei genitori rimane stabile a lungo. Il dibattito è molto complesso e scientificamente ancora aperto e quindi, sarebbe auspicabile, da parte dei mezzi d’informazione, una maggiore cautela e più consapevolezza dei messaggi che vengono trasmessi ai tanti telespettatori. Di studi a riguardo ne esistono tanti, ma la loro qualità è spesso scarsa, soprattutto riguardo al metodo di campionamento: uno studio scientificamente valido deve essere condotto su un campione casuale e su un numero significativo di soggetti. Invece, la maggior parte delle ricerche su questo argomento sono state realizzate su campioni non casuali e di piccole dimensioni e quindi non rappresentativi. L’unico studio che ha attualmente una riconosciuta validità è quello del sociologo dell’Università del Texas Mark Regnerus. Infatti, il testo, pubblicato nel 2012, vanta un impianto metodologico inedito quantitativamente e qualitativamente, sia perché si basa sul più grande campione rappresentativo casuale a livello nazionale (12.000), sia perché per la prima volta fa parlare direttamente i “figli” (ormai cresciuti) di genitori omosessuali, dimostrando che il 12% pensa al suicidio (contro il 5% dei figli di coppie etero), sono più propensi al tradimento (40% contro il 13%), sono più spesso disoccupati (28% contro l’8%), ricorrono più facilmente alla psicoterapia (19% contro l’8%), sono più spesso seguiti dall’assistenza sociale rispetto ai coetanei cresciuti da coppie etero­sessuali sposate. Nel 40% dei casi hanno contratto una patologia trasmissibile sessualmente (contro l’8%), sono genericamente meno sani, più poveri, più inclini al fumo e alla criminalità”.

(*Presidente della Sipps- Società italiana di pediatria preventiva e sociale, da: Famiglia: come cresceranno i figli delle coppie gay? Linkiesta 2 giugno 2012)

Luisa Muraro, 2012

“‘Meglio avere genitori omosessuali che non averne affatto’, ha detto il sindaco di Milano, secondo i giornali. Avrà detto proprio così? Me lo chiedo perché in queste parole ci sono due semplificazioni. Avere dei genitori non è sempre meglio del non averli. Ci sono genitori indegni del loro compito. Quanto all’adozione, Pisapia sa bene che la nostra legge è diventata molto prudente nel concederla. Troppo, dicono alcuni, senza sapere dei molti bambini prima adottati e poi respinti. Ci vuole una valutazione severa, per esempio: sono adatti alla paternità i politici di professione, gli artisti? Seconda semplificazione. Il sindaco ha parlato di coppie omosessuali, senza specificare se maschili o femminili. Ma è una differenza enorme. Le coppie femminili che desiderano figli, possono averli e così già fanno, con il tacito consenso della società circostante. Il problema si pone alle coppie maschili, in quanto naturalmente e ovviamente sterili. Qui non prendo posizione pro o contro l’adozione. Affermo soltanto che, quando si ha davanti un problema, conviene dirsi chiaramente come stanno le cose. Il problema dell’adozione è degli uomini, non delle donne. E dietro alla pressante richiesta maschile di poter adottare, potrebbe nascondersi un’antica invidia verso la fecondità femminile. Mi sbaglio? Non lo escludo, ma in tal caso l’uomo dica apertamente: perché non voglio chiedere a una donna il dono di diventare padre? Perché voglio fare la madre io? E non riduciamo il problema a una questione di diritti. A questo mondo i desideri, compresi quelli giusti, non si traducono automaticamente in diritti.”

(Da: Metro, 3 ottobre 2012)

Francesco D’Agostino, 2012

“Primo punto: il matrimonio eterosessuale non è un’invenzione della Chiesa; è un istituto giuridico, finalizzato a garantire l’ordine delle generazioni, riscontrabile in tutte (ripeto: tutte) le culture e in tutti (ripeto tutti) i tempi. Corollario: difendendo il matrimonio eterosessuale, la Chiesa difende non un dogma di fede o un principio della propria dottrina, ma una dimensione del bene umano oggettivo. Secondo punto: si può ben procreare, come Battista ci ricorda, al di fuori del matrimonio (questo lo sanno perfino i cattolici!), ma la funzione del matrimonio è proprio quella di porre un rigoroso ordine sociale nella procreazione, a garanzia delle nuove generazioni… Terzo punto: i diritti che secondo Battista dovrebbero essere attribuiti alle coppie gay sono molto meno eclatanti di quanto non possa apparire quando li si qualifica come «diritti civili»: essi non solo sono facilmente attivabili con quello che la scienza giuridica chiama il «diritto volontario» (reversibilità della pensione, subentro nel contratto di locazione, assistenza ospedaliera, diritti successori), ma in gran parte sono già ampiamente fruibili a seguito di interpretazioni estensive delle leggi vigenti fatte dalla Cassazione. Corollario: la vera posta in gioco, quando si dibatte sul matrimonio gay, è simbolica, non è giuridica né sociale; i suoi fautori vorrebbero che il diritto riconoscesse situazioni affettive, di cui nessuno vuole negare l’autenticità ‘privata’, ma che non hanno però in sé e per sé, alcun rilievo ‘pubblico’.”

(*Presidente onorario del Comitato Nazionale per la Bioetica – da: Matrimonio e omosessuali: i ‘laici’ argomenti dei cattolici, L’Avvenire, 15 maggio 2012)

Rupert Everett, 2012

“Mia madre avrebbe sempre voluto vedermi sposato con una donna, magari con dei figli perché sarei stato un padre meraviglioso. Lei pensa che i bambini abbiano bisogno di un padre e una madre e io sono d’accordo con lei. Non riesco a pensare a niente di peggio che essere allevato da due papà gay. Alcune persone potrebbero non essere d’accordo. Bene! È solo la mia opinione. Non sto parlando per conto della comunità gay. In effetti, non mi sento parte di alcuna ‘comunità’. L’unica comunità a cui appartengo è l’umanità, e abbiamo già fin troppi bambini sul pianeta, quindi è bene non averne altri in più”

(Da: “I’d still like my son to marry a pretty girl and have kids”, intervista al Sunday Times, 16 settembre 2012)

Beppe Severgnini, 2011 e 2012

“Ho premesso che le coppie dello stesso sesso vanno tutelate e riconosciute dalle legge. Ma che ci posso fare? Non sono favorevole all’adozione e, prima ancora, al matrimonio, che è per definizione l’unione di un uomo e di una donna. Non accetta il mio argomento? Provi a seguirmi. Perché, allora, il matrimonio non può essere fra tre persone? O fra quattro? O fra tre uomini, due donne e un avatar? Se la sua risposta fosse ‘Eh no, bisogna essere in due!’, vuol dire che anche per lei esiste una definizione di matrimonio, basata su una categoria: il numero. Per me ce n’è un’altra: la differenza di sesso. Non lo chiede solo la religione cattolica; lo suggeriscono il buon senso, la storia e la natura (che punta, implacabile, alla procreazione e alla conservazione della specie). Aggiungo: l’adozione da parte di coppie omosessuali mi lascia perplesso; molto perplesso quando ha risvolti pubblici e mondani, come nel caso di Elton John. Un bambino ha bisogno di mamma e papà, figure diverse e complementari. Può accadere che debba crescere solo con una o solo con l’altro. Ma svantaggiarlo da subito mi sembra ingiusto. Solo nel caso di adolescenti, la cui l’adozione si rivelasse difficile, sono pronto a rivedere il mio parere.Questo fa di me un troglodita politico? Non credo. Forse, in parte, un conservatore. Credo infatti che qualcosa da conservare ci sia, nella tradizione e nella fabbrica sociale degli uomini. Molto altro, invece, si può e si deve cambiare. E in Italia non lo facciamo, porca miseria.”

(Da: Italians, Corriere della Sera, 3 febbraio 2011)

“Il matrimonio continua a sembrarmi, per definizione, l’unione di persone di sesso diverso. Ho spiegato perché, in un paio di occasioni, aggiungendo: per le persone dello stesso sesso ci sono altre forme di unione da accogliere a proteggere legalmente. E sono stato coperto di contumelie. Confesso, mi è dispiaciuto. Non capisco perché chi ha sofferto a lungo l’intolleranza debba rispondere con l’intolleranza davanti a un’opinione poco gradita.”

(Da: Italians, Corriere della Sera, 11 settembre 2012)

Corrado Augias, 2003

“Il disagio che provo, di fronte a scene pubbliche di affettuosità omosessuale, credo anche io che dipenda in parte da fattori ‘culturali’ e da mancanza di abitudine. Ricordo nettamente il senso di libertà provato quando, studente, cominciai a frequentare l’Europa (Parigi, Londra soprattutto). Contribuivano a quella sensazione coppie di innamorati sdraiate, sovrapposte, sui prati di Hyde Park o delle parigine Buttes-Chaumont. Erano anni in cui, da noi, la moralità ufficiale esigeva che i poliziotti andassero a multare le coppiette appartate in auto anche di notte e in località isolate, anche con i vetri appannati. Eravamo provincia, le effusioni pubbliche venivano (ufficialmente) considerate disdicevoli. Molti ovviamente erano contrari, si criticava l’atteggiamento, si definiva Scelba (ministro del’Interno) guardone per interposto agente. Col tempo, almeno per le coppie etero, tutto è cambiato. Continuo però a pensare che per le coppie omo ci siano altre difficoltà oltre a quelle culturali. Forse una spiegazione è nel fatto che una coppia uomo-donna che amoreggia su un prato interpreta, anche se non lo sa, la forza sfacciata della specie che chiede di essere perpetuata. In una coppia omosessuale disturba credo l’idea di sterilità che rende baci e carezze esibizione fine a se stessa”.

(Da Lettere a Corrado Augias, La Repubblica, 1 novembre 2003)

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