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Un nuovo attentato ha scosso domenica la centralissima piazza Kiliay di Ankara, in Turchia. Autori del gesto due kamikaze.
Almeno trentasette morti e più di centoventi feriti. È questo il tragico bilancio dell’ennesimo attentato che ha scosso, nella giornata di domenica, la Turchia. Una potente esplosione ha letteralmente squassato piazza Kizilay, una delle più frequentate della capitale Ankara, alle 18:45 ora locale.
Negozi, numerose fermate di autobus, una stazione della metropolitana: l’area rappresenta uno dei centri nevralgici della metropoli turca. A poche ore dall’attentato, il primo ministro Ahmet Davutoglu, ha convocato i suoi ministri per una riunione d’emergenza, alla quale hanno partecipato anche alcuni responsabili dei servizi di sicurezza. Secondo quanto dichiarato all’agenzia di stampa Dogan da uno dei presenti, “i primi rilievi lasciano pensare ad un attacco suicida”.
Lo stesso Davutoglu ha affermato che “le prove e gli elementi raccolti sul luogo dell’attentato ci forniscono un’idea chiara circa l’identità degli autori”. Secondo l’agenzia Reuters, i kamikaze potrebbero essere stati due, e uno di loro sarebbe probabilmente una donna.
Tuttavia, a parecchie ore di distanza non è ancora stata avanzata una rivendicazione ufficiale. Ma secondo quanto riportato dall’agenzia Afp le modalità appaiono molto simili a quelle di un altro attacco, avvenuto il 17 febbraio: in quel caso era stato il gruppo estremista curdo del Tak ad assumere la paternità del gesto, che costò la vita a ventinove persone.
In attesa di conoscere i responsabili, la risposta delle autorità non si è fatta attendere: il governo ha infatti ordinato all’aviazione di bombardare delle basi attribuite al Partito del lavoratori del Kurdistan (Pkk) situate in una regione settentrionale dell’Iraq. In particolare, undici caccia hanno colpito la zona montuosa di Kandil, secondo quanto riferito dallo stato maggiore turco.
Quella che conduce l’esecutivo di Ankara è d’altra parte un’autentica guerra contro il Pkk. Nello scorso mese dicembre, più di cento militanti del partito erano stati uccisi nel corso di un’operazione militare senza precedenti in termini di dispiego di mezzi e uomini (più di diecimila), condotta per cinque giorni in due città, Cizre e Silopi, non lontane dal confine con la Siria.
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