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La parola ascesi non indica, come spesso si crede, la rinuncia, bensì l’esercizio, la pratica per acquisire alcune abilità. Aceta è colui che perfeziona la propria intelligenza.
Il termine ascesi, dal greco askesis, non rinvia alla rinuncia, al
distacco dal mondo, ad una esasperata esaltazione del dolore come
strumento di perfezionamento interiore.
In realtà, il termine in questione significa esercizio,
pratica per acquisire alcune abilità.
I Greci, non a caso, chiamavano asceta il soldato, che si
esercitava nell’uso delle armi, o il lottatore, che affinava le sue
abilità nella lotta.
Se estendiamo questo significato all’ ambito morale, asceta
è colui che affina la propria intelligenza e la propria
volontà per divenire sapiente e virtuoso: il filosofo.
Da qui, il passaggio all’ascesi religiosa: esercitarsi nel bene,
reprimere le passioni nocive, per avvicinarsi in modo progressivo a
Dio.
Come si vede, sia l’ascesi fisica, che quella morale e religiosa,
rimandano all’esercizio, allo sforzo che l’uomo deve fare per
conseguire determinati traguardi esistenziali.
Risulta evidente che in una scala di valori, l’ascesi morale e
religiosa godono, rispetto a quella fisica, di uno spessore
esistenziale maggiore, a patto che questo non comporti una indebita
svalutazione del corpo come ingiustificata fonte di turbative per
l’anima.
Ci vuole, infatti, pratica e abilità anche per vivere il
proprio corpo in modo positivo. Curare il proprio corpo, pur senza
cadere in esasperazioni narcisistiche, significa avere rispetto
anche per la propria interiorità. L’anima, come sede delle
qualità intellettive e morali dell’uomo, abita, infatti, nel
corpo, e non fuori di esso.
Fabio Gabrielli
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