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Dopo anni di resistenza pacifica Isidro Baldenegro López, leader della popolazione indigena locale che cercava di fermare il disboscamento, è stato ucciso.
Isidro Baldenegro López amava la sua gente, la comunità degli indios messicani tarahumara, e amava le foreste della sua terra, e per questo è stato ucciso. Baldenegro, 51 anni, è stato ammazzato a colpi di arma da fuoco lo scorso 15 gennaio nel suo villaggio, Coloradas de la Viergen.
Secondo le prime ricostruzioni l’attivista ambientale, che era da poco tornato nel suo villaggio per visitare uno zio dopo un lungo periodo di esilio forzato a causa delle numerose minacce contro di lui e la sua famiglia, è stato ucciso con sei colpi di pistola da un uomo poi identificato come Romero Rubio Martínez, ancora latitante.
Isidro Baldenegro López era un contadino e leader della comunità degli indios tarahumara, ma sarebbe più corretto dire rarámuri, come si definiscono tra loro, che significa “colui che cammina bene”, in riferimento a uno dei tratti peculiari di questo popolo, la corsa. I rarámuri vivono in maniera tradizionale nell’aspro ambiente della Sierra Madre, dove si sono rifugiati dopo la colonizzazione spagnola, nella regione messicana del Chihuaua. Baldenegro ha dedicato la sua vita alla difesa dei diritti del suo popolo e delle antiche foreste della Sierra Madre, minacciate dalla deforestazione illegale e dai narcotrafficanti che coltivano piantagioni di marijuana sulle montagne disboscate. Taglialegna, allevatori e narcos hanno ormai distrutto quasi il 99 per cento delle foreste vetuste della regione, di fatto controllata dai violenti boss criminali locali. Baldenegro era perfettamente consapevole dei rischi che la sua missione comportava, quando era solo un ragazzo ha infatti assistito in prima persona all’assassinio di suo padre, ucciso proprio perché si oppose alla deforestazione. Eppure, nonostante le ripetute minacce di morte, Baldenegro ha scelto di rimanere e continuare difendere le foreste e i luoghi ancestrali che la sua comunità abitata da centinaia di anni.
Nel 1993 Baldenegro istitutì un movimento di resistenza popolare non violenta per contrastare il disboscamento, ottenendo anche il sostegno di organizzazioni non governative locali e internazionali. Nel 2002, attraverso sit-in e marce pacifiche, spinse il governo a sospendere temporaneamente l’abbattimento di alberi nella zona. L’anno successivo mobilitò invece un immenso corteo di protesta, composto perlopiù da donne i cui mariti erano stati uccisi dai narcos, ottenendo uno speciale ordine del tribunale che vietava la deforestazione nella zona. Dopo questo successo, nel 2003, Baldenegro fu improvvisamente arrestato con l’accusa, in seguito rivelatasi falsa, di possesso di armi e droga. L’arresto contribuì comunque ad accrescere la popolarità di Baldenegro e a dare risalto alla sua lotta. I 15 mesi di carcere non piegarono l’uomo che subito dopo la scarcerazione fondò un’organizzazione di giustizia ambientale. Nel 2005 Baldanegro ha vinto il Goldman Environmental Prize, la più alta onorificenza che dal 1990 premia gli attivisti di tutto il mondo che si dedicano alla salvaguardia della natura, per la sua battaglia non violenta per proteggere le antiche foreste dal disboscamento.
L’omicidio di Baldenegro riporta inevitabilmente alla mente quello di Berta Cáceres, leader del Consiglio delle organizzazioni popolari e indigene dell’Honduras (Copinh) che da anni si batteva per difendere i diritti della sua comunità e per proteggere le terre ancestrali del suo Paese dalla deforestazione e dallo sfruttamento, assassinata nel marzo 2016. Anche Berta Cáceres era stata insignita del Goldman Environmental Prize, Baldenegro è dunque il secondo premiato ucciso in meno di 12 mesi.
Questi due omicidi, i più noti ma non certo gli unici, ci ricordano i pericoli che devono affrontare gli attivisti ambientali in certe aree del pianeta. Secondo la ong britannica per la difesa dei diritti umani Global Witness, nel 2015 almeno 122 attivisti sono stati assassinati in America Latina durante il tentativo di proteggere le risorse naturali locali, minacciate dalla costruzione di dighe, miniere, località turistiche e dal disboscamento. Il 2015 è stato in assoluto l’anno più letale mai registrato per gli attivisti ambientali a livello globale, con almeno 185 morti. C’è qualcosa di donchisciottesco in queste persone che, armate solo del loro senso di giustizia, sfidano enormi multinazionali e organizzazioni criminali, eppure non sono dei visionari, sono semplicemente persone normali (con un coraggio straordinario) che vogliono vivere in pace, senza che il proprio ambiente venga distrutto. Siamo sicuri che la lotta pacifica di Baldenegro sarà fonte di ispirazione per tante persone che lottano per proteggere l’ambiente e i diritti dei popoli indigeni, augurandoci che i governi, troppo spesso complici di queste violenze, sappiano proteggere i loro cittadini consentendogli di esprimere il loro dissenso.
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