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Per far calare del 50 per cento le emissioni del comparto auto servono sei milioni di punti di ricarica pubblici e oltre cinquemila pompe di idrogeno.
Ridurre le emissioni del comparto auto deve andare di pari passo con l’aumento delle infrastrutture di ricarica. Gli obiettivi di riduzione di CO2 più elevati nel 2030 non spaventano i produttori automobilistici, ma a una condizione: che siano direttamente collegati a impegni vincolanti, da parte degli Stati membri, per l’installazione dei punti di ricarica e delle stazioni a idrogeno necessarie. È quanto hanno concordato gli amministratori delegati delle principali case automobilistiche europee nell’ultima riunione del consiglio di amministrazione dell’Acea, l’Associazione europea dei produttori di automobili.
Come ha evidenziato il presidente dell’Acea e Ceo della Bmw, Oliver Zipse, “gli enormi investimenti della nostra industria nei veicoli a propulsione alternativa stanno pagando: l’anno scorso quasi un’auto su dieci registrata nell’Ue era ricaricabile elettricamente. Ma questa tendenza può essere sostenuta solo se i governi iniziano a fare investimenti corrispondenti nelle infrastrutture”. In sostanza, l’Associazione chiede che l’imminente revisione del regolamento sulle emissioni di CO2 per le autovetture e i furgoni – che punta a un taglio del 55 per cento entro il 2030, rispetto ai livelli del 1990 – sia basata su rigorosi obiettivi di diffusione delle infrastrutture a livello europeo, fissati nell’ambito della revisione della legge sulle infrastrutture per i combustibili alternativi.
Ciò significa che ci dovrebbe essere un collegamento tra i target di riduzione della CO2 da un lato, e gli obiettivi nazionali vincolanti e applicabili per i punti di ricarica e le stazioni di rifornimento dall’altro. “Dobbiamo utilizzare tutte le tecnologie di trasmissione disponibili – ha spiegato Zipse – per ridurre l’impronta di carbonio del nostro parco veicoli. Per l’adozione dei veicoli elettrici, si applica una semplice logica: il numero di punti di ricarica e di stazioni di idrogeno che gli stati membri dell’Ue si impegnano effettivamente a distribuire determinerà quale sia un obiettivo realistico di CO2 per il 2030”.
L’Acea ha diffuso uno studio che definisce la quantità dei punti di ricarica necessari a seconda dell’entità stabilita per il taglio delle emissioni: con una ipotesi di riduzione del 50 per cento rispetto ai livelli del 1990 servirebbero – alla luce del numero di veicoli elettrificati che dovrebbero essere messi sul mercato – circa sei milioni di punti di ricarica pubblici e oltre cinquemila pompe di idrogeno. Inoltre, gli Stati membri dovrebbero implementare un quadro giuridico per la rapida diffusione delle infrastrutture di ricarica private a casa e sui luoghi di lavoro.
“La revisione dei livelli di emissione – ha concluso Zipse – dovrebbe essere usata come un’opportunità per migliorare significativamente i sistemi per il monitoraggio della CO2, le eco-innovazioni e le disposizioni in materia di mezzi in condivisione. Le case automobilistiche rimangono pienamente impegnate nella mobilità sostenibile e stiamo portando la tecnologia necessaria sul mercato ad un ritmo molto elevato”. Ma tutto ciò, nell’ottica dei produttori europei, non si può tradurre in un obbligo unilaterale. Far calare le emissioni nocive del mondo delle quattro ruote deve diventare un obiettivo comune, che passa necessariamente attraverso lo sviluppo infrastrutturale.
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