
D’ora in poi l’università di Oxford non investirà più nei combustibili fossili, ma solo nelle società che si impegnano seriamente per la decarbonizzazione.
La prossima assemblea degli azionisti di Shell si preannuncia movimentata: gli azionisti critici chiedono impegni più ambiziosi sul fronte del clima.
Maggio è un mese importante per le grandi multinazionali, il mese delle assemblee degli azionisti. Per il colosso dell’energia Royal Dutch Shell, quella del 2018 sarà molto particolare: il tema dei cambiamenti climatici infatti sarà messo sul tavolo, senza compromessi. Stando a quanto rivela il Financial Times, è questo il piano di un gruppo di azionisti critici, che da mesi stanno preparando il terreno per il momento in cui si troveranno faccia a faccia con i vertici di Shell.
Il cosiddetto “engagement” è una delle sette strategie per investire responsabilmente il proprio denaro. In linea generale, significa che gli investitori avviano un dialogo con la società di cui possiedono i titoli, per esortarle a prendere in considerazione le tematiche Esg (ambientali, sociali e di governance). Il versante più battagliero è quello dell’azionariato attivo (o azionariato critico): in questo caso i soggetti della società civile si coalizzano per acquistare un numero simbolico di azioni, esclusivamente per guadagnarsi il diritto di intervenire all’assemblea degli azionisti. È quello che ha fatto Follow This, un’organizzazione che invita chiunque abbia a cuore l’ambiente ad aderire con una quota minima di 32 euro, sufficiente per diventare azionista di Shell.
Il colosso dell’energia lo scorso novembre ha fatto un annuncio molto importante, impegnandosi a dimezzare la propria impronta di carbonio entro il 2050. Ciò include sia le emissioni dirette di Shell, sia quelle derivanti dall’uso dei suoi prodotti. Ma, per Follow This, questo non è ancora abbastanza per allinearsi all’Accordo di Parigi, con cui la comunità internazionale nel 2015 si è impegnata a limitare l’aumento delle temperature medie globali ben al di sotto dei 2 gradi centigradi rispetto all’era pre-industriale.
Per questo, Follow This ha sottoposto a Shell una risoluzione per chiedere obiettivi più ambiziosi sul fronte del clima. L’azienda ha fatto sapere di averla ricevuta e presa in considerazione. Lo scorso anno una risoluzione simile è stata bocciata dal 94 per cento degli azionisti ma supportata da nomi celebri come la compagnia di assicurazioni Aviva, la Church of England e diversi fondi olandesi.
“Crediamo che Shell abbia già un approccio all’avanguardia alla transizione energetica”, hanno dichiarato gli attivisti. Oltre al target di riduzione delle emissioni, l’azienda ha già legato i bonus dei manager al loro impegno in campo ambientale e ha accettato di rendicontare in modo più preciso sui rischi climatici correlati alle sue attività.
Proprio per questo, continuano, dovrebbe osare un po’ di più. Prendendo in considerazione le previsioni sull’aumento della domanda globale di energia, infatti, il Gruppo intergovernativo di esperti sui cambiamenti climatici (Ipcc) e l’Agenzia internazionale per l’energia (Iea) stimano che per rispettare l’Accordo di Parigi serva una riduzione in termini assoluti delle emissioni di CO2 pari al 60-65 per cento entro il 2050. Per giunta, sottolinea Follow This, Shell sta incrementando sempre più il suo peso nel mercato globale dell’energia: se si pondera l’impegno preso ora sul volume di energia che la compagnia produrrà nel 2050, la percentuale sul totale risulta molto ridimensionata.
Shell sta spostando il suo portafoglio dal petrolio al gas e, dall’altro lato, sta investendo circa 2 miliardi di dollari l’anno nelle rinnovabili. Ma stiamo ancora parlando di una quota molto piccola del suo budget di spesa che oscilla tra i 25 e i 30 miliardi.
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