Le penne servono ai nativi americani per volare

Un viaggio per tornare alle origini, vedere e capire. Il presidente di Alce Nero ha visitato le terre e la famiglia del grande capo sioux Black Elk, l’uomo che ha ispirato e dato il nome a un progetto fondato quasi 40 anni fa.

Black Elk, nativo della tribù Oglaga Lakota, originariamente insediata nelle Grandi pianure, nacque nel 1863, anche se sulla sua tomba è scritto 1858, e morì nel 1950. Una vita che abbraccia due secoli in cui è stato un giovane guerriero, uno sciamano, un uomo di medicina e di grandi visioni, un riferimento culturale e religioso. A raccontarlo per la prima volta è stato John Neihardt, il giornalista che nel 1932 scrisse Black Elk speaks (Alce Nero parla, edito da Adelphi), cogliendo il senso profondo dell’uomo e delle sue idee.

“Sedendo ai piedi di questo visionario e profeta – scrive Neihardt – mi sono sentito completamente e intimamente coinvolto dal suo continuo celebrare la stupefacente bellezza del mondo che lo circondava. Lui era questo, questa continua celebrazione, che dedicava a tutti”. Un tutti che per Black Elk, Alce Nero appunto, si componeva di un universo in relazione, creato da dio (il grande spirito), in cui ogni essere è uguale all’altro: formiche, alci, uomini, alberi, sono tutti “relatives”, ovvero parenti fra loro.

“Non importa dove giace il corpo di Cavallo Pazzo, perché è erba, ma dove si trova il suo spirito, lì sarebbe bello stare” (Alce Nero parla, John Neihardt)

Montagne rocciose
Bryce canyon, Rocky mountains, Montagne rocciose, Stati Uniti d’America

Il viaggio verso le terre di Black Elk comincia

Sono arrivato dalla famiglia di Black Elk grazie a Carl Grillet, fulcro e guida di questo nostro viaggio.

Grillet ha 45 anni e una lunga chioma bionda, è amico dei discendenti Black Elk. La prima volta che li ha incontrati era il 1992, quando con un gruppo di 150 europei ha attraversato da costa a costa gli Stati Uniti, a piedi, per testimoniare che la scoperta del navigatore italiano Cristoforo Colombo aveva portato anche grande sofferenza ed ingiustizia alle popolazioni native. Carl Grillet, infatti, è un convinto naturalista: conosce a memoria i nomi delle specie botaniche, degli uccelli e degli altri animali. Ama l’America in modo appassionato.

Un giorno mi ha scritto che a ottobre avrebbe fatto un lungo giro nelle Rocky Mountains, la catena montuosa delle Montagne rocciose, e incontrato la famiglia Black Elk.

“Ho solo cinque giorni – gli rispondo – escluso il viaggio che ne dura più di due”.

“Va bene – mi risponde – ma partiamo da lontano: 1.200 chilometri dal Dakota del Sud, dove vive la famiglia, perché devi conoscerne le tracce”.

Accettiamo, viene con me anche Rita, la mia compagna: due giorni di viaggio in auto a una velocità massima consentita di 60 miglia orarie, meno di 100 chilometri orari, e tre giorni nelle riserve. Il viaggio serve per preparare la meta, non si deve avere fretta e considerarlo un valore. Rita ha una nuova piccola cinepresa. Si offre ed incarica di filmare e archiviare questi incontri. Giungere al cuore dei Black Elk non è facile. Per questo siamo consapevoli del piccolo evento.

alce nero, black elk
I nativi del continente nordamericano hanno lasciato tracce graffiate nella roccia rossa del loro percorso.

Ascesa e fine del bisonte

I nativi del continente nordamericano hanno lasciato tracce graffiate nella roccia rossa del loro percorso, risalenti a oltre 4.000 anni fa. Ce ne sono molte in quei chilometri percorsi. Non sappiamo cosa significhino esattamente. Tuttavia sono molto diffuse e disseminate su un territorio molto vasto, montagnoso o costituito da alti altipiani. Antilopi, cactus, bisonti. Mani, piedi, uomini e donne. I nativi americani non conoscevano la ruota e si muovevano a piedi. “Di corsa”, è scritto. I cavalli sono arrivati molto più tardi, con gli spagnoli. Nomadi, cacciatori, divisi su un territorio immenso in piccole e grandi popolazioni.

Attraversiamo terre che sono state per millenni degli Arapaho, Cherokee, Navajo, Cheyenne e ne portano i nomi. Molte di queste tribù sono completamente estinte. I territori che si aprono attorno a noi sono immensi e stupefacenti, nella loro incontaminata grandiosità. Mi rendo conto solo ora di conoscere molte terre, ma quasi tutte agricole o comunque rimodellate dalla mano dell’uomo nei secoli. Qui è come un altro pianeta, dominato da una natura forte e non addomesticata, anche se il paesaggio e la sua fauna sono cambiati molto negli ultimi secoli: per numerosi fattori (tra cui una caccia intensiva e in alcun modo regolamentata) dei 60-90 milioni di bisonti presenti in questa striscia del centro dell’America del Nord, ne sono rimasti pochi centinaia, fino a diventare una specie protetta. Lo stesso è accaduto per le antilopi. Un fatto non privo conseguenze se si pensa che bisonti e antilopi sono la prima fonte alimentare dei nativi americani, che ne utilizzano tutte le parti, comprese ossa e pelli e che proprio a causa di questi stermini hanno subito un declino per fame.

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“Ci stiamo dirigendo dai nipoti di Ben, pronipoti di Black Elk, i quasi settantenni Aaron e Clifton Black Elk”.

La famiglia Black Elk

Avvicinandoci al primo incontro con la famiglia Black Elk, sempre nel veicolo che ci porta a 60 miglia all’ora, coltiviamo la speranza di non essere considerati sfruttatori o usurpatori: loro non ci conoscono, noi abbiamo una valigia piena di pasta, pomodoro, cioccolato e biscotti con il marchio di un nativo americano a cavallo e con la lancia in testa.

Tre matrimoni scandiscono la vita di Black Elk. Due i periodi più significativi: quello trascorso con la prima moglie e il figlio Ben, il primo epico periodo della sua vita, quello descritto nelle pubblicazioni Black Elk speaks e Black Elk lives; e quello vissuto con la terza moglie e la figlia Lucy: il tempo della conversione cattolica e dell’attività di catechista svolta dal 1907. Dopo il grande successo dell’edizione di Black Elk speaks (edito nel 1932, ma che vende milioni di copie solo nel 1960) si apre un confronto sulla sua vita, sulla seconda parte in cui abbraccia e porta la religione cattolica nella sua riserva. Senza mai cessare la sua attività di uomo di medicina, pur senza essere medico.

Noi ci stiamo dirigendo dai nipoti di Ben, pronipoti di Black Elk, i quasi settantenni Aaron e Clifton Black Elk. Nella riserva di Pine Ridge, nella terra dove i sioux Oglala Lakota (Lakota significa “amici”) vivono da sempre. Oggi sono oltre 40mila, il 69 per cento vive sotto la soglia di povertà. Siamo nelle Badlands (letteralmente “terre cattive”), enormi praterie su un altopiano ad oltre 1.000 metri sul livello del mare da dove sorgono appuntite montagne d’argilla, ma anche profondi ed estesissimi crateri, sempre argillosi. Alcune decine di chilometri di distanza ed il paesaggio cambia radicalmente per trasformarsi in montagne verdi, stupende: le Black hills dove si trova il Crazy horse memorial, il museo dedicato a Cavallo Pazzo, cugino di Black Elk, e agli indiani di questo territorio.

cavazzoni e black elk
Lucio Cavazzoni e la famiglia Black Elk

Aaron e Clifton Black Elk vivono a poche centinaia di metri uno dall’altro, in case strette e lunghe che sono moduli precostruiti (abitazioni circondate da carcasse di grossi autocarri, che hanno sostituito i cavalli e che servono come pezzi di ricambio); vivono a pochi chilometri da Wounded Knee, luogo dell’ultimo e definitivo massacro di questa tribù Lakota nel 1880, a poche centinaia di metri dal cimitero dov’è sepolto Black Elk. Aaron è il fratello maggiore, lui è ritenuto il primo discendente, lui detiene la sacra pipa di Black Elk, segno di potere sciamanico, responsabile e referente della comunità. Clifton è più dedicato alle dinamiche sociali, è impegnato nel suo territorio che vive uno stato evidente di grande limitazioni.

Nei tre giorni di incontro abbiamo ragionato su parecchie cose, oltre a conoscerci.

Perché siamo venuti fino a lì e cosa facciamo nella vita. Del resto a memoria di Aaron e Clifton solo cinque o sei europei li hanno raggiunti nelle riserve negli ultimi decenni, un solo italiano nel 1980. Si ricordano che era del nord, forse di Brescia, molto alto. Io e Rita raccontiamo loro cos’è e cosa fa Alce Nero. Parliamo di “organic”, biologico, del perché e di cosa significa per noi. Del cibo che è relazione con la terra, con le persone e con l’ambiente.

Ho anche due domande impellenti da fargli, le conservo da parecchi anni. La prima è questa: perché quando Black Elk parla di “circolarità” (elemento necessario per vivere in armonia con l’universo e la sua forza) porta esempi come le stelle, il nido delle rondini, la chioma degli alberi, l’abbraccio delle persone, il soffio del vento, ma anche la vita dell’uomo dal suo inizio al suo inizio” e non alla sua fine? Dapprima ritenevo fosse un errore di traduzione, ma cercandolo nei testi originali trovai che non lo era.

“Ma è molto semplice”, mi spiega Aaron che si illumina di Black Elk. “Il potere che muove l’universo opera in circoli, nei e dei quali la Vita è parte. L’uomo è parte a sua volta di questa circolarità che non ha fine, ma solo nuovi inizi”. C’è un mondo dietro a queste poche parole, lo capiamo tutti.

Aaron si scambia veloci occhiate con la moglie e il fratello, si toglie un grande anello – che avevo notato appena entrato nella sua casa – e me lo regala. Senza formalità. Ci sono poche decine di questi anelli nelle tribù Lakota. Ne caratterizza l’appartenenza. Gli rispondo che questo anello diventerà del gruppo Alce Nero, delle persone che lo compongono, che lo porterò nella sua sede. Non lo indosso e lo metto nella borsa.

famiglia alce nero
Uno dei fratelli Alce Nero tiene in mano un ritratto di Black Elk

“Grazie per averci ispirato”

Gli restituisco una targa che dice, in inglese: “Grazie per averci ispirato nell’amore verso la Terra” e termina con il nostro marchio. Che loro riconoscono subito. La casa di Aaron è piena di piccoli quadretti con foto: ci sono quattro generazioni mischiate insieme. Senza una gerarchia, una temporalità particolare: sono foto di famiglia. Fra queste, su un piccolo unico piedistallo, prima di partire, ho visto la nostra targa. È stato molto importante.

Con Clifton affronto a casa sua il secondo punto che mi preme. Sembrano esserci due diversi Black Elk: il grande capo indiano e quello successivo alla sua conversione cattolica, in cui diventa addirittura catechista (missionario) e trascorre gli ultimi 30 anni della sua vita a diffondere il Vangelo. Periodo del quale non rimangono che poche tracce.

“Vi è un solo e grande Black Elk ed è quello dove lui stesso si racconta in Black Elk speaks, scritto da Neihardt – mi risponde – Black Elk era un uomo profondamente religioso e conosciuto il Vangelo decise che non aveva alcun senso combatterlo, ma lo integrò nella propria religione. Si tratta dello stesso dio o grand father, padre di tutte le cose. Poi Gesù gli era molto vicino: un uomo che muore solo, per amore e salvezza di tutti gli uomini. Il mio great-grand father mise insieme le due religioni e le diffuse nella nostra Nazione. Per molti decenni era vietato nella riserva praticare i nostri riti ed anche i balli. Ma Black Elk li praticava di nascosto nelle Badlands, lo stesso per la Sacra Pipa: sono comunanza con gli altri e vicinanza con dio, il nostro grand father”. Capiamo che loro si sentono tutti cattolici, indiani cattolici.

Clifton è molto curioso di quello che noi facciamo in Italia, perché pensa che l’agricoltura biologica possa dare un grande contributo alla sua gente, in particolare ai giovani che hanno poche possibilità. “Il cibo qui non è buono e non fa bene. Ma c’è anche tanta terra, pascoli ora non più frequentati dai bisonti, sterminati più di 100 anni fa. Hanno dato vita a progetti di comunità, di costruzione partecipativa di case ecologiche, di piccoli allevamenti ed agricoltura organica, per la prima volta grazie all’aiuto del governo federale. La nostra gente viene coinvolta. È la prima volta che lo stato si interessa di noi”, mi dice.

Il secondo giorno ha già letto parecchio delle nostre interviste riportate in Real Food, cibo vero, e ne è molto interessato. Ci chiede di sapere di più, è attivo in un gruppo molto impegnato in diversi progetti a partire da quelli agricoli e biologici. In testa il solito berretto con visiera e la scritta Vietnam Veterans. Gli chiedo cosa significhi. Lui mi spiega: “Sia io che mio fratello abbiamo fatto cinque anni di servizio militare, in parte in Europa ed in parte in Vietnam. Entrare nell’esercito per noi è un modo di campare”.

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Il cimitero dei Black Elk

Alla ricerca degli antenati

Il cimitero dove è sepolta gran parte della famiglia Black Elk è un campo senza confini. Nemmeno molto frequentato. Del resto non troviamo da nessuna parte icone, musei, segni della vita degli indiani, luoghi della memoria gestiti da loro. Il cimitero è fatto di terra, solo di terra, semplicemente terra. Chiedo a Clifton se posso lasciare nella terra della tomba di Black Elk qualcosa che appartiene al gruppo Alce Nero. Me lo consente e così faccio.

Il libro Alce Nero parla può essere letto in tanti modi. È diviso in capitoli, che sono anche i passaggi della vita di Black Elk. Il lungo tratto delle sue visioni non è facile: sarebbero necessari molti riferimenti religiosi e culturali poco conosciuti.

Black Elk era molto più di un guerriero, era un uomo di grande sensibilità e di preghiera. I suoi canti e i suoi balli erano un modo per sentirsi parte del mondo che amava e per tenere alto il morale del suo popolo.

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