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Bologna, grazie al progetto BlueAp, è stata la prima città italiana a dotarsi di un piano di adattamento ai cambiamenti climatici.
Bologna la rossa e fetale, cantava Francesco Guccini, ma anche la resiliente. Il capoluogo dell’Emilia-Romagna è infatti ritenuto la città più resiliente in Italia ed è stata la prima nel nostro Paese a dotarsi degli strumenti per affrontare la vitale sfida dei cambiamenti climatici. Da Bologna, culla della resistenza partigiana, parte dunque la resistenza a quella che è ritenuta essere oggi la più grande minaccia per la nostra specie.
La svolta sostenibile per la città emiliana è arrivata nel 2012, con il lancio del progetto BlueAp, (Bologna local urban environment adaptation plan for a resilient city). Il progetto è nato con l’obiettivo di studiare e sperimentare misure concrete da attuare a livello locale, per rendere la città meno vulnerabile ad eventi climatici un tempo estremi ma la cui frequenza è in aumento a causa del riscaldamento globale, come alluvioni, ondate di calore e siccità.
BlueAp, un progetto Life+ finanziato dalla Commissione europea, mira non solo a resistere all’impatto dei mutamenti climatici, ma a trasformarlo da rischio in opportunità. Inizialmente il comune e i partner del progetto, Kyoto Club, Arpae Emilia Romagna e la società di consulenza ambientale Ambiente Italia, hanno redatto uno studio della situazione del territorio bolognese, chiamato Profilo climatico locale, per identificare le principali vulnerabilità del territorio e individuare una strategia a lungo termine per fronteggiare i possibili sviluppi climatici futuri.
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Avviato il 1° ottobre del 2012 e conclusosi il 30 ottobre del 2015, il progetto BlueAp ha individuato una serie di obiettivi da raggiungere entro il 2025 descrivendo “le azioni necessarie a raggiungerli distinguendo quelle riconducibili esclusivamente al comune da quelle in cui sono altri i soggetti chiamati ad intervenire”, si legge nel documento. In particolare sono state individuate tre aree di criticità: siccità e carenza idrica, ondate di calore in area urbana ed eventi non convenzionali e rischio idrogeologico.
Per contrastare la carenza di acqua Bologna ha puntato sulla riduzione dei prelievi, limitando le perdite della rete di distribuzione, riducendo i consumi, utilizzando risorse idriche alternative e recuperando acqua piovana.
La logica decisione per cercare di limitare l’aumento delle temperature in area urbana durante la stagione estiva prevede l’incremento delle superfici verdi. Il fenomeno dell’isola di calore urbano affligge già la città durante i mesi estivi e questa tendenza si accentuerà, aumentando la vulnerabilità delle fasce più sensibili della popolazione. Per questo il progetto prevede la piantumazione di 5mila alberi, la realizzazione di cinque ettari di orti urbani e interventi di adattamento su dieci edifici pubblici e in quattro spazi pubblici del centro per ridurne l’impatto ambientale.
L’ultima macro-minaccia è quella rappresentata dal rischio di alluvioni e frane, secondo le previsioni infatti i cambiamenti climatici accresceranno la vulnerabilità del territorio collinare e dei sistemi idraulici urbani. Per arginare questo pericolo si intende ridurre l’espansione del territorio impermeabilizzato e migliorare i sistemi di drenaggio.
Bologna è stata la città pilota e rappresenta solo il primo tassello, uno degli obiettivi del progetto era infatti quello di stilare una serie di linee guida per la definizione di analoghi piani di adattamento ai cambiamenti climatici, che potranno essere adottati da tutte le città italiane con dimensioni simili.
A tre anni dal termine del progetto BlueAp è stato pubblicato, lo scorso aprile, il documento intitolato Linee guida sull’adozione di tecniche di drenaggio urbano sostenibile per una città più resiliente ai cambiamenti climatici, che affronta uno dei tre settori evidenziati dal piano, quello relativo a “eventi estremi e rischio idrogeologico”. Per migliorare la risposta idrologica del capoluogo emiliano il piano prevedeva cinque obiettivi: minimizzare la crescita del territorio impermeabilizzato, servire l’1 per cento del territorio occupato da superfici impermeabilizzate pubbliche con sistemi di drenaggio urbano sostenibile, ridurre il carico inquinante veicolato dagli sfioratori di piena e rendere maggiormente “resilienti”, o adeguatamente protetti dal rischio di frane ed allagamenti, le infrastrutture e i beni culturali particolarmente esposti al rischio. Per raggiungere tali obiettivi il documento, elaborato dal comune di Bologna con la collaborazione della Banca europea per gli investimenti (Bei), delinea diverse strategie e per ciascuna strategia una serie di azioni. Tra gli interventi previsti ci sono l’adattamento dei parcheggi per renderli permeabili, l’adeguamento della rete idrografica, la riduzione dell’afflusso delle acque di pioggia in fogna e l’aggiornamento del Piano di protezione civile.
In particolare il nuovo documento, utile per le numerose città italiane alle prese con i danni causati dalle forti piogge, suggerisce un nuovo approccio al drenaggio urbano. In passato la questione veniva affrontata solo da un punto di vista idraulico, con un approccio definito “hard engineering” che si limitava a drenare e raccogliere le acque dalla superficie impermeabilizzata e convogliarle lontano dalle aree urbanizzate. Viceversa la soft engineering, tramite un approccio olistico, mira a gestire l’acqua urbana e ottenere benefici aggiuntivi in termini di qualità delle acque, aumento della biodiversità e aumento della fruizione di aree pubbliche. Oltre a contenere l’erosione, favorire la regolazione climatica e aumentare le aree ricreative, le tecniche di soft engineering applicate al drenaggio urbano permettono di ridurre, si legge nel documento, “i carichi inquinanti dovuti alle acque di runoff, evitando di trasferire semplicemente gli inquinanti prodotti dalle aree pavimentate urbane ai corsi d’acqua come avviene con un approccio di hard engineering”. Bologna, come altre città europee all’avanguardia prima di lei, sta abbandonando il desueto paradigma che prevedeva il controllo dell’uomo sulla natura, per abbracciarne uno più moderno e al tempo stesso antico, basato sulla conoscenza e il rispetto dei fenomeni naturali.
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