Popoli indigeni

Brasile, una sentenza rischia di cacciare gli indigeni dalle loro terre

In Brasile la corte suprema sta per emettere una sentenza che potrà cambiare per sempre la vita di migliaia di indigeni che della foresta amazzonica.

In Brasile si sta decidendo la sorte dei popoli indigeni. È infatti in corso il “processo del secolo”, come lo hanno definito le migliaia di persone che si sono accampate in segno di protesta davanti alla sede del congresso nazionale in Praça da Cidadania, Brasilia.

Il Supremo tribunal federal (Stf) dovrà pronunciarsi a breve sulla questione del cosiddetto marco temporal, ovvero sulla proposta promossa dal settore dell’agrobusiness secondo cui i popoli indigeni che non possono provare che al 5 ottobre 1988 – giorno in cui fu promulgata la costituzione brasiliana – abitavano fisicamente sulle loro terre, non vi hanno più alcun diritto.

Punirne uno per punirli tutti

Tutto è partito dal “caso Xokleng”: il governo federale di Santa Catarina (uno dei 27 stati del Brasile) ha intentato una causa contro il popolo originario Xokleng, con riferimento al territorio indigeno Ibirama-Laklãnõ, dove vivono anche i popoli Guaraní e Kaingang.

Il tribunale deve decidere se gli Xokleng abbiano riottenuto parte del territorio in modo “abusivo”, come sostengono le autorità, poiché non ne erano in possesso il 5 ottobre 1988. È la vecchia tesi del “limite temporale” (marco temporal, appunto) sostenuta dalla lobby agraria.

La sentenza servirà da parametro per la definizione di tutte le terre indigene del Brasile. Se la corte dovesse dare ragione al governo di Santa Catarina, sostenendo appunto la tesi del “limite temporale”, a essere minacciata è la presenza di tutti i popoli originari che abitano le terre dell’Amazzonia.

Il governo del Brasile contro gli indigeni

La posta in gioco è, dunque, altissima. Dal giorno in cui fu emanata la nuova costituzione sono passati 33 anni e questo periodo ha consentito agli indigeni di riottenere almeno una parte dei territori prima espropriati durante la colonizzazione e successivamente dalla dittatura militare, durata dal 1964 al 1985.

Meno della metà dei circa 1.300 appezzamenti rivendicati è stata affidata in usufrutto permanente alle comunità originarie, per un totale di 117 milioni di ettari di foresta, ovvero il 14 per cento della superficie nazionale. Gli indigeni non sono proprietari ma gestiscono la terra in cui abitano come bene comune. Secondo il report “Forest governance by indigenous and tribal peoples” pubblicato dalla Fao, le aree sotto il controllo dei nativi sono quasi tre volte meno disboscate delle altre.

Ed è proprio questo che non piace al presidente Jair Bolsonaro: da quando è entrato in carica nel 2019, il leader sudamericano ha attuato specifiche politiche contro gli indigeni, togliendo loro sempre più terre. Tanto che in occasione della Giornata internazionale dei popoli indigeni, che si è celebrata il 9 agosto, l’Articolazione dei popoli indigeni del Brasile (Apib), una rete di organizzazioni per la salvaguardia dei popoli originari, si è rivolta al tribunale internazionale dell’Aja, accusando il presidente di crimini contro l’umanità, genocidio ed ecocidio.

Se muoiono gli indigeni, moriamo anche noi

Ed è proprio Apid ad aver organizzato la settimana di mobilitazione in corso davanti ai palazzi delle istituzioni in Brasilia. La manifestazione, battezzata “Luta pela vida”, ha richiamato migliaia di indigeni e sostenitori che sono accorsi e si sono accampati per sette giorni nella capitale brasiliana. L’evento si svolge dal 22 al 28 agosto e prevede un fitto calendario di sessioni plenarie, cortei e manifestazioni pubbliche.

“Questo problema non riguarda solo il Brasile, ma l’intero futuro della vita umana e animale sulla Terra”, hanno dichiarato i portavoce di Apib. “Le popolazioni indigene sono cruciali per il mantenimento dell’ambiente, e questo è dimostrato dal fatto che oltre l’80 per cento della loro terra è coperta da foreste. È ora di ascoltare le loro grida e proteggere i loro diritti perché scientificamente parlando, se muoiono loro, moriamo anche noi”.

Il processo, la cui sentenza definitiva era inizialmente prevista per il 26 agosto, è stato sospeso e riprenderà nei prossimi giorni. A breve dunque si aprirà un’epoca nuova per le popolazioni originarie che abitano la foresta amazzonica: potrà essere un futuro nel quale verrà riconosciuta l’importanza degli indigeni oppure un periodo di lotte. Quel che è certo è che questa sentenza avrà un’importanza cruciale per il mondo intero.

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