Popoli indigeni

Le miniere illegali d’oro hanno distrutto 20mila ettari di terre indigene in Amazzonia in 11 anni

Negli ultimi anni le terre indigene Kayapó, Munduruku e Yanomami, nell’Amazzonia brasiliana, sono state devastate dalle miniere d’oro illegali.

  • Un nuovo studio di Greenpeace fa luce sulle miniere d’oro illegali che distruggono la foresta amazzonica brasiliana.
  • Tra il 2010 e il 2021 hanno danneggiato circa 20mila ettari di territori Kayapó, Munduruku e Yanomami.
  • Il 54 per cento della produzione d’oro brasiliana potrebbe avere un’origine illegale.

“Gli Yanomami non sono mai morti di fame. Sono qui, ho 66 anni e, quando ero piccolo, nessuno moriva di fame. Ora le minere stanno uccidendo il mio popolo e anche i miei parenti Munduruku e Kayapó. Quando le persone indigene si ammalano, non possono lavorare (nei campi) né cacciare”. A dirlo è Davi Kopenawa, leader indigeno Yanomami. Le sue parole trovano conferma nei dati diffusi dall’organizzazione ambientalista Greenpeace. Tra il 2010 e il 2021, le miniere illegali d’oro hanno provocato la distruzione di 20mila ettari di foreste nelle terre indigene Kayapó, Munduruku e Yanomami, nell’Amazzonia brasiliana. Un fenomeno che, peraltro, assume dimensioni sempre più gravi. Nel biennio 2019-2021, l’area distrutta è più estesa del 202 per cento rispetto a quella devastata nel decennio precedente.

miniere in Amazzonia
Nonostante il loro comprovato impatto negativo, le miniere in Amazzonia si sono espanse negli ultimi anni © Greenpeace

Quali sono i danni delle miniere illegali d’oro in Amazzonia

Lo studio di Greenpeace fa sapere che, negli ultimi 36 anni, le aree occupate da miniere in Brasile sono aumentate del 1.107 per cento. Nel 2021 avevano danneggiato 212.500 ettari, cioè tre volte e mezzo la città di Seul; quasi tutti, cioè più del 90 per cento, in Amazzonia. I cosiddetti garimpeiros, cercatori d’oro e di pietre preziose senza licenza, spesso usando grandi quantità di mercurio per separare l’oro dagli altri sedimenti raccolti lungo le sponde dei fiumi. Un metallo velenoso che, dopo l’uso, viene bruciato. Così facendo, si disperde nell’ambiente e nei fiumi contaminando quindi il cibo e l’acqua potabile di cui i popoli indigeni hanno bisogno.

Le miniere illegali d’oro hanno anche pesanti conseguenze sociali, perché i cercatori d’oro – di fatto – invadono improvvisamente e in massa le terre indigene. Questo intensifica conflitti, criminalità, traffico di droga, abusi sessuali sugli indigeni e diffusione di malattie come la malaria. Se ne è avuto una prova quando, a gennaio 2023, l’amministrazione di Lula – appena insediata – ha dichiarato l’emergenza sanitaria nei territori degli indigeni Yanomami, dove circa 20mila garimpeiros erano tornati negli ultimi anni, approfittando dell’inazione del governo di Jair Bolsonaro. “I pochi dati disponibili indicano che almeno 570 bambini sotto i 5 anni hanno perso la vita nel territorio Yanomami negli ultimi 4 anni, a causa di malattie che potevano essere evitate”, ha dichiarato Lula.

Più di metà dell’oro brasiliano potrebbe essere di provenienza illegale

Proprio tra il 2019 e il 2021, cioè mentre Bolsonaro era al potere, la superficie media di terre indigene danneggiata dalle miniere illegali d’oro è cresciuta del 202 per cento rispetto alla media dei dieci anni precedenti. Nel 2021 si è arrivati a 11.542 ettari nei territori Kayapó, 4.743 ettari nei territori Munduruku e 1.156 nei territori Yanomami. Quest’ultima area dunque rappresenta una frazione piuttosto piccola del totale ma ha visto un aumento del 3.350 per cento tra il 2016 e il 2020, con le conseguenze drammatiche già ricordate.

Tutto questo pone anche inevitabili interrogativi sull’oro brasiliano, esportato in tutto il mondo (Italia compresa, sottolinea Greenpeace). Pressoché tutto l’oro proveniente dalle terre indigene ha “alti segnali di illegalità”, sostiene l’Instituto Escolhas. A conti fatti, dunque, il 54 per cento della produzione d’oro brasiliana potrebbe avere un’origine illegale. In termini di volume, si tratta di 52,8 tonnellate nel 2021.

Si potrebbe pensare che quantomeno il sacrificio di un ecosistema così prezioso garantisca un tornaconto economico per la comunità, ma non è così. Considerato che ogni chilo d’oro viene venduto a un prezzo di mercato di circa 55mila euro, i profitti – che finiscono nelle mani di pochissimi privati – sono di circa 18.500 euro. I costi sociali, legati soprattutto alle conseguenze sanitarie, sono dieci volte tanto.

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