La legge europea sul ripristino della natura, la Nature restoration law, è in stallo. Prima del voto finale del Consiglio, alcuni paesi hanno ritirato il loro appoggio.
Una transizione ecologica, equa e inclusiva può riunire l’Europa
Non si può superare la crisi climatica senza combattere ciò che nutre nazionalismi e populismi: le ineguaglianze. La giustizia sociale e climatica sono intrinsecamente connesse, e richiedono azioni coraggiose e transnazionali.
A fine maggio 200 milioni di persone da 28 paesi diversi hanno votato per le elezioni europee. L’affluenza dei votanti, al 50,5 per cento, non è mai stata così alta negli ultimi vent’anni.
Le persone spesso lo danno per scontato, ma l’Unione europea (e i suoi organi) sono un’istituzione rivoluzionaria: un’assemblea politica che rappresenta mezzo miliardo di persone, una corte che protegge i diritti umani individuali contro le violazioni degli stati, l’unica entità sovranazionale al mondo che può davvero legiferare e adottare politiche vincolanti per più di un paese. In breve, si tratta di una risorsa essenziale per affrontare le sfide che prescindono dai confini nazionali.
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Un’onda verde, europeista
È difficile identificare chiaramente un vincitore o un vinto in queste elezioni. I partiti di estrema destra hanno mostrato successi in Ungheria, Italia e in parte anche in Francia e nel Regno Unito; i socialdemocratici hanno riportato vittorie in Spagna, Portogallo, Svezia e Olanda. Il centro-destra può puntare sul fatto che il Partito popolare europeo è ancora il gruppo più grande in Parlamento.
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Tuttavia, per quanto L’Europa possa sembrare frammentata, una cosa resta chiara. Nelle ultime elezioni ci aspettavamo un’ondata nazionalista, antieuropeista, ma ne abbiamo avuta una verde, europeista. I partiti verdi hanno raggiunto il 20 per cento in Germania, il 15 per cento in Irlanda e Finlandia, quasi il 19 per cento in Lussemburgo, il 13 per cento in Francia e Danimarca, il 12 per cento nel Regno Unito. I partiti progressisti e socialdemocratici che hanno aumentato la propria popolarità sono quelli che si sono concentrati maggiormente sulla crisi climatica e le sue soluzioni. I sondaggi appena prima delle elezioni mostravano che in Germania i cambiamenti climatici erano il tema a cui i votanti tenevano di più, superando l’immigrazione.
I movimenti per il clima chiedono giustizia sociale
I giornali in tutta Europa parlano già dell’”effetto Greta”, attribuendo quest’ondata verde alla giovane attivista per il clima Greta Thunberg. Ma quello che Greta e i giovani che scioperano da scuola in tutto il mondo stanno chiedendo non è soltanto mettere la crisi climatica al centro dell’agenda politica europea. Chiedono anche più giustizia sociale, capendo che le due cose sono intrinsecamente connesse.
Non sarà infatti possibile superare la crisi climatica senza affrontare ciò che alimenta i movimenti nazionalisti e populisti: la disuguaglianza. Politiche e iniziative climatiche ambiziose e coraggiose possono essere un modo efficace per creare lavoro e migliorare la salute e la qualità della vita di quelle persone che sono state storicamente marginalizzate a causa della nostra economia basata sui combustibili fossili. Come ha di recente dichiarato l’economista francese Thomas Piketty: “La rabbia che nutre il nazionalismo è fomentata dall’assenza di un modello sociale e fiscale più equo”. La radicale transizione ecologica di cui l’Europa – e il mondo – hanno disperatamente bisogno deve essere equa e inclusiva.
I sindaci sono in prima linea nel portare avanti azioni climatiche coraggiose e nel riconoscere il bisogno di affrontare congiuntamente l’ineguaglianza e i cambiamenti climatici per creare città sane, sostenibili e inclusive. Città come Parigi e Barcellona hanno pubblicato di recente piani climatici che rispettano gli obiettivi dell’Accordo di Parigi e che si concentrano fortemente sull’inclusione, la giustizia ambientale e la riduzione della povertà energetica. Città come Oslo stanno riconoscendo l’importanza di coinvolgere i lavoratori, le loro famiglie e i sindacati nella pianificazione e nell’attuazione delle proprie politiche climatiche e hanno creato task force per la transizione equa per fare avanzare, insieme, la crescita del lavoro e gli obiettivi ambientali.
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Fuori dall’Europa, sindaci come Eric Garcetti a Los Angeles stanno facendo da apripista stabilendo ambiziosi e pragmatici “green new deal” che hanno l’obiettivo di ridurre drasticamente le emissioni e combattere la disuguaglianza sociale.
Non solo i sindaci agiscono a livello locale, ma condividono tra loro conoscenze e prendono posizioni congiunte a livello globale. Al Global climate action summit di San Francisco dell’anno scorso, ad esempio, 33 sindaci si sono impegnati ad incrementare le iniziative di sviluppo urbano e sostenibile guidate da comunità locali; e le politiche climatiche e i progetti infrastrutturali che permettano di raggiungere maggiori benefici sociali ed economici nei quartieri e nelle comunità a basso reddito. Il programma Inclusive climate action di C40 sostiene la leadership di sindaci in questo campo e fornisce alle città il supporto di cui hanno bisogno per pianificare, intraprendere e creare consenso sui progetti climatici che siano equi e vantaggiosi per tutti.
Le città sono in prima linea nella creazione di un futuro equo e inclusivo
Questi sindaci hanno scoperto che sviluppando politiche che affrontano sia la crisi climatica che quella dell’ineguaglianza, si può evitare la trappola di chi afferma che l’azione climatica è elitaria. Le città possiedono già la competenza, l’esperienza e le soluzioni necessarie per affrontare le sfide future, e i governi nazionali devono ascoltarli e supportarli. I nuovi membri del Parlamento dovrebbero portare questa conoscenza e queste pratiche a Bruxelles e Strasburgo per informareil prossimo ciclo di politiche europee.
A prescindere da quello che accade a livello nazionale, i sindaci europei continueranno a far sentire la loro voce. A maggio, ad esempio, più di 200 sindaci hanno scritto al Consiglio europeo chiedendo che l’Unione europea raggiunga il picco di emissioni l’anno prossimo, dimezzi le emissioni entro il 2030, assicuri una transizione equa, rimuova i sussidi ai combustibili fossili e impegni tutti gli stati membri ad obiettivi vincolanti per azzerare le emissioni nette entro il 2050.
Questi sindaci hanno capito che abbiamo bisogno di investimenti e politiche forti che siano in grado di affrontare le crisi della disuguaglianza e del clima congiuntamente, rompendo i tradizionali compartimenti stagni delle politiche e dei finanziamenti europei che mettono il clima e l’ambiente da un lato e le questioni economiche dall’altro.
Il mondo ha bisogno di transnazionalismo
I giovani e il nuovo movimento per l’ambiente ci hanno dato un’ultima possibilità. Quell che poteva rivelarsi un risultato eletteorale di estrema destra – che avrebbe potenzialmente distrutto l’Europa per come la conosciamo oggi – non è avvenuto, grazie soprattutto alla nascita degli scioperi per il clima e l’aumento della consapevolezza del pubblico sulla crisi climatica.
Per affrontare questa sfida enorme e proteggere il futuro del nostro Pianeta e dell’umanità, non avremo bisogno del nazionalismo, ma del transnazionalismo. I giovani che scioperano per il clima lo sanno. Se l’Europa vuole davvero salvarsi e realizzare il sogno di Ventotene, deve essere all’altezza delle loro richieste e delle loro ambizioni. Un modo per farlo esiste.
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