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Energetico e vitaminico, il caco è pronto per il consumo quando è molto morbido. Si lava bene, si taglia a metà e si gusta scavando la polpa con il cucchiaino.
Quando in natura gli alberi si spogliano, è tempo di cachi. L’entrata in Italia della pianta di caco non è certa. Se ne parla nei trattati di frutticoltura dopo l’Unità d’Italia. Probabilmente fu l’arrivo delle ferrovie a stimolare la diffusione di questo albero da frutto, rustico e facile da coltivare. I mezzadri di fine ottocento di Marche, Romagna e Toscana lo sapevano bene: comunque lo si potasse sopravviveva, per quanto lo si trascurasse si mostrava generoso di frutti. C’era sempre posto in cantina per i cachi da far maturare: venivano raccolti acerbi e lasciati riposare a lungo accanto a qualche mela (l’etilene delle mele accelera la maturazione). Un modo, questo, per ridurre l’effetto allappante dovuto alla presenza di tannino, prezioso per la salute (è digestivo e astringente) ma fastidioso per i denti e per la bocca. L’alto contenuto di sostanze tanniche, diminuisce ogni giorno di più una volta staccato il frutto dall’albero.
Potrebbe essere questo il motivo per cui, oggigiorno, il consumo dei cachi si è ridotto: non siamo più abituati a pensare che un cibo abbia bisogno di tempo e di una scatola accogliente per maturare, per farsi gustare al momento giusto, con il cucchiaino.
In Italia ne esistono diverse varietà, coltivate da Nord a Sud, ma il primato di “terra dei cachi” se lo aggiudica la Romagna, in particolare la zona di Faenza, con lo squisito “loto di Romagna“. Esiste poi una varietà speciale, il ‘cacomela’ che a differenza del caco comune si può consumare subito dopo la raccolta perché la sua polpa, delicata e aromatica, non è allappante.
Il caco è straricco di vitamina A, dotato di vitamina C e di sali minerali. Contiene molto zucchero e tannini, è energetico, ricostituente del sistema nervoso e del fegato, antibatterico nelle gastroenteriti.
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