La capitale dello Sri Lanka ha sottratto le plaudi che la circondano ai rifiuti, grazie agli sforzi delle istituzioni e della comunità.
California, le piattaforme petrolifere in disuso potrebbero diventare barriere coralline artificiali
In California si discute sulla possibilità di convertire gli impianti offshore inutilizzati.
La California è oggi uno degli stati più sostenibili al mondo, ma deve ancora fare i conti con un passato strettamente legato all’estrazione petrolifera. Al largo della costa californiana, fra Santa Barbara ed Orange County, ci sono 27 piattaforme petrolifere, installate verso gli anni Sessanta e ormai in disuso. Lo stato americano si sta interrogando sul futuro di queste strutture, le possibilità al vaglio sono due: smantellarle definitivamente o convertirle in barriere coralline artificiali permanenti per la fauna marina.
La natura si adatta
Tra gli impianti offshore vive infatti un’incredibile varietà di creature marine, decine di specie di pesci e migliaia di specie di invertebrati vi trovano riparo e i leoni marini cacciano tra i piloni incrostati di alghe e mitili. Considerata la biodiversità che popola le piattaforme in pensione, molte persone ritengono che dovrebbero essere lasciate al loro posto e “cedute” alla natura, nonostante la legge statale preveda la loro completa rimozione.
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Un pericolo in agguato
Non tutti, però, sono d’accordo sulla bontà di tale iniziativa, alcuni gruppi per la conservazione ritengono infatti che le piattaforme petrolifere abbandonate potrebbero rilasciare sostanze chimiche tossiche nell’acqua. “Le persone in California non guardano le piattaforme petrolifere come barriere artificiali, le guardano come potenziali future fuoriuscite di petrolio – ha affermato Emily Hazelwood della Blue Latitudes, una società di consulenza dedicata proprio alla riconversione degli impianti offshore. – Il pubblico parte dal presupposto che le compagnie petrolifere stiano cercando di risparmiare denaro”.
L’ok della scienza
Per verificare la fattibilità della conversione Ann Scarborough Bull e Milton Love, rispettivamente un’ex ricercatrice scientifica del Dipartimento degli interni degli Stati Uniti e un biologo che si occupa dei pesci della costa del Pacifico, hanno esaminato simili iniziative intraprese in altre aree del mondo, come Golfo del Messico, Brunei e Malesia. I due studiosi hanno concluso che trasformare in barrire coralline le piattaforme dismesse della California è un’opzione praticabile.
La nascita di un ecosistema
I grossi tubi di acciaio che costituiscono le strutture di supporto delle piattaforme attirano un gran numero di invertebrati, che vi si stabiliscono, che a loro volta attirano diverse specie di pesci. Col passare del tempo queste strutture hanno iniziato a rivestire una certa importanza ecologica, offrendo riparo e sostentamento a molti animali, aumentandone la concentrazione in aree in cui in passato erano assenti a causa della mancanza di un habitat idoneo. “Nel Golfo del Messico la conversione delle piattaforme petrolifere ha aumentato la quantità di pesci di barriera – ha spiegato Ann Scarborough Bull. – Molte di queste strutture sono diventate famosi siti di pesca e immersioni subacquee . In California nella maggior parte delle piattaforme non è consentita la pesca, quindi hanno costituito per decenni una sorta di aree marine protette, fornendo vantaggi ecologici per le specie soggette a sovrasfruttamento”.
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