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La piaga dei combattimenti fra cani è difficile da estirpare. Per contrastarla entrano in campo associazioni animaliste e progetti concreti di denuncia.
Sono sei i cani da combattimento sequestrati dai carabinieri forestali di Salerno e affidati in custodia giudiziaria dalla Procura della Repubblica presso il tribunale di Lagonegro alla fondazione Cave Canem nell’ambito del progetto Io non combatto, promosso dalla stessa onlus e da Humane society international (Hsi) per reprimere le lotte fra cani in Italia.
I soggetti – quattro femmine e due maschi – sono stati immediatamente trasferiti in un rifugio di Roma per le cure del caso. Nell’ambito dell’iniziativa, infatti, ai sei pitbull è stato garantito un riparo accogliente, le attenzioni e il supporto necessari per garantire il recupero psicofisico. Gli animali, infatti, mostravano tutti i segni dei maltrattamenti subiti: cicatrici, ferite aperte, magrezza, fobia e difficoltà a interagire o relazionarsi con i loro simili.
L’operazione di sequestro dei cani è stata condotta in provincia di Salerno dalla Procura della Repubblica di Lagonegro e dal nucleo operativo dei carabinieri di Sala Consilina con l’ausilio dei carabinieri forestali di Padula, dove, nell’ambito di un intervento più ampio, è stato scoperto uno spazio allestito come palestra per l’addestramento, utilizzato anche per la riproduzione degli animali da destinare alle lotte clandestine.
Una pratica aberrante che, però, rende moltissimo in termini di scommesse e giro d’affari e rimane da anni uno dei punti fondamentali delle attività illecite nel nostro paese. Al rifugio reso disponibile da Cave Canem, i cani sono stati immediatamente sottoposti a tutti gli accertamenti veterinari utili a ottenere un quadro completo sul loro stato di salute e coinvolti nelle valutazioni comportamentali per stabilire il miglior percorso di riabilitazione per ognuno di loro.
Hanno avuto tutti un nome: Michi, Olimpia, Fiona, Zoe, Ascanio, Shrek. Una di loro, la dolce Olimpia, nonostante l’assistenza prestata è deceduta dopo poche settimane dal salvataggio: il suo organismo, gravemente compromesso, non ha retto ai maltrattamenti e alle privazioni. Continua, comunque, l’impegno costante per gli altri cinque che, seppure lentamente, stanno uscendo fuori dal tunnel di torture a cui erano stati sottoposti. A loro disposizione un team di professionisti fra cui educatori cinofili, medici veterinari, assistenti di campo coordinati dal dog trainer manager della fondazione, Mirko Zuccari.
Questa operazione è la prima di innumerevoli azioni integrate contemplate dal progetto Io non combatto e realizzate per riportare l’attenzione su un fenomeno criminale di violenza inaudita quale è il combattimento tra animali. “I sei cani tratti in salvo presentano segni di maltrattamento evidenti e disagi comportamentali di rilievo. Al loro fianco ci sarà d’ora in poi un team di medici veterinari e di educatori cinofili che li accompagneranno in un percorso di recupero restituendo l’equilibrio perso e donando loro la speranza di una famiglia”, spiega Federica Faiella, cofondatrice e vicepresidente della fondazione Cave Canem.
“Le cicatrici sui corpi di questi cani e la tristezza nei loro occhi dimostrano che questa pratica illegale è ancora presente e sottolineano la necessità di dare vita a un progetto come Io non combatto con l’obiettivo di agire con forza per reprimerla e aiutare gli animali coinvolti. Solo con un’azione congiunta e unita e con il supporto, le competenze e la sensibilità di magistrati, forze dell’ordine, veterinari, educatori cinofili, volontari e cittadini possiamo fermare queste attività criminose a danno degli animali”, le fa eco Martina Pluda, direttrice per l’Italia di Humane society international.
Il fenomeno dei combattimenti clandestini, infatti, è tutt’altro che sconfitto. Si tratta di una pratica illegale e crudele che prospera nel sommerso, a livello nazionale quanto internazionale. I cani vengono addestrati per diventare delle vere e proprie armi e sono costretti a sfidarsi fino alla morte. Attorno a questi ring girano scommesse e grandi somme di denaro. I protagonisti dello “spettacolo”, però, non vincono mai, anzi: spesso vengono uccisi dopo la sconfitta o muoiono a causa delle ferite riportate.
A subire immense crudeltà sono anche i cosiddetti sparring partners, cioè gli animali come gatti, cinghiali e uccelli domestici usati per l’addestramento brutale dei combattenti. L’iniziativa Io non combatto diventa pertanto basilare per sensibilizzare l’opinione pubblica su una pratica crudele e perversa che, ancora una volta, coinvolge gli animali che ci sono intorno.
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