Cos’è la “dottrina della scoperta”, il peccato colonialista della Chiesa

Ripudiando la “dottrina della scoperta”, il Vaticano fa un passo importante nel proprio percorso di trasformazione, ancora lungo e tortuoso.

Il ricovero di papa Francesco per una bronchite infettiva a Roma ha probabilmente sottratto all’attenzione di molti una notizia che sancisce un momento di grande importanza nel processo di trasformazione della Chiesa cattolica contemporanea, che abbraccia questioni di natura culturale, sociale e ambientale. Il 30 marzo, il Vaticano ha pubblicato una nota congiunta con il dicastero per la Cultura e quello dello Sviluppo umano con la quale ha condannato senza mezzi termini la cosiddetta “dottrina della scoperta“, e cioè quell’insieme di bolle e atti papali risalenti al periodo coloniale con la quale la Santa Sede permise l’esproprio delle terre dei nativi americani e l’assoggettamento dei popoli indigeni attraverso un’opera di evangelizzazione, di fatto forzata, condotta dai Paesi europei. Una decisione che accoglie le richieste avanzate dai portavoce dei discendenti delle civiltà precolombiane, su tutte quelle del Canada, che da tempo pressavano il Vaticano affinché prendesse definitivamente le distanze da un momento buio e controverso per mezzo di un atto formale.

La “dottrina della scoperta” non è espressione della fede cattolica

“La dottrina della scoperta non fa parte dell’insegnamento della Chiesa cattolica. La ricerca storica dimostra chiaramente che i documenti papali in questione, scritti in un periodo storico specifico e legati a questioni politiche, non sono mai stati considerati espressioni della fede cattolica. Allo stesso tempo, la Chiesa riconosce che queste Bolle papali non riflettevano adeguatamente la pari dignità e i diritti dei popoli indigeni“. Con queste parole i dicasteri vaticani hanno sancito una cesura definitiva con quanto teorizzarono secoli prima alcune emanazioni della Curia romana, nello specifico le Bolle Dum Diversas (1452), Romanus Pontifex (1455) e Inter Caetera (1493). In base a quegli atti i conquistadores giunti nelle Americhe e successivamente in Africa potevano contare sul sostegno del Papa nel corso delle loro spedizioni di conquista, a patto che le popolazioni assoggettate non fossero di fede cattolica. Era un atto politico redatto dall’autorità religiosa per giustificare l’annessione unilaterale di nuovi territori a scopo commerciale, permettendo in seguito alla Santa Sede di iniziare opere “cristianizzazione” attraverso conversioni di massa: “Dal periodo coloniale in poi, la dottrina della scoperta è stata fondamentalmente il meccanismo per il quale ai nativi è stato negato l’accesso alle loro terre, insieme al diritto di rivendicarle”, dice Phil Arnold, professore di religione all’Università di Syracuse.

Il concetto stesso di “scoperta” è stato per lungo tempo dibattuto nella giurisprudenza ottocentesca, per la quale il termine concedeva dal punto di vista giuridico il diritto esclusivo di estinguere, mediante acquisto o conquista, il titolo o il possesso di quelle terre da parte delle popolazioni indigene: “La Chiesa è anche consapevole del fatto che il contenuto delle Bolle papali è stato manipolato a fini politici dalle potenze coloniali in competizione tra loro, per giustificare atti immorali contro le popolazioni indigene, compiuti talvolta senza l’opposizione delle autorità ecclesiastiche”, si legge nel comunicato della Santa Sede, che continua: “È giusto riconoscere questi errori, riconoscere i terribili effetti delle politiche di assimilazione e il dolore provato dalle popolazioni indigene, e chiedere perdono“.

Il ruolo di papa Francesco nel processo di pacificazione 

In questo lento e a lungo sopito percorso di espiazione del suo passato colonialista, la Chiesa ha trovato una possibilità con la visita del Papa in Canada lo scorso anno. Fu un viaggio penitenziale quello di Francesco, consumato di fronte a striscioni che invocavano la fine immediata della dottrina. Durante la visita il Pontefice incontrò i discendenti delle civiltà precolombiane e chiese loro scusa per quello che definì un “genocidio”, termine di cui non si trova traccia all’interno del comunicato diffuso ieri.

Papa Canada
Papa Francesco incontra un’esponente delle comunità indigene durante il suo viaggio in Canada ad agosto 2022 © Vincenzo Pinto /AFP via Getty Images

In quell’occasione, il premier canadese Justin Trudeau chiese al Pontefice di impegnarsi in “azioni concrete per la dottrina della scoperta e assicurare giustizia ai sopravvissuti”. Sebbene gli sviluppi storici e i tribunali dei Stati Uniti, Canada e persino le Nazioni Unite abbiano nei fatti abrogato la “dottrina della scoperta”, condannandola come un insieme di atti razzisti e inaccettabili dal punto di vista sia scientifico che morale, il tema resta molto sentito tra le comunità dei nativi che, specie in Canada, hanno identificato quel momento del passato come la pietra angolare su cui si è basato uno sviluppo iniquo e discriminatorio della società.

È a questo risentimento ancestrale, del tutto comprensibile, che la Chiesa sta provando a contrapporre un percorso di pacificazione: “Ai nostri giorni, un rinnovato dialogo con i popoli indigeni, soprattutto con quelli che professano la fede cattolica, ha aiutato la Chiesa a comprendere meglio i loro valori e le loro culture. Con il loro aiuto, la Chiesa ha acquisito una maggiore consapevolezza delle loro sofferenze, passate e presenti, dovute all’espropriazione delle loro terre, che considerano un dono sacro di Dio e dei loro antenati, e alle politiche di assimilazione forzata, promosse dalle autorità governative del tempo, volte a eliminare le loro culture indigene”, continua la nota del Vaticano.

Continuare a rinnovare la Chiesa

Ripudiando la “dottrina della scoperta” la Chiesa ha dimostrato di voler oltrepassare il guado morale per allontanarsi definitivamente dal proprio passato coloniale, senza più mettere in fila false promesse ma agendo concretamente per mezzo di atti ufficiali. Tuttavia, il processo di trasformazione della Chiesa non può avvenire senza quello della Curia romana, la struttura burocratica su cui si regge. E per questo motivo, quello iniziato con un papato universalmente riconosciuto come aperto alla società come quello di Francesco, è un percorso lento e tortuoso. La presa di distanza dalla “dottrina della scoperta” non significa l’annullamento delle bolle papali che l’hanno di fatto istituita, come sarebbe nelle richieste delle comunità odierne di nativi. Furono quegli atti a fornire il mandato ai coloni europei per condurre campagne spietate, oggi coperte di ignominia. E da lì dovrebbe forse ripartire, goduta la dovuta convalescenza, la Chiesa di Francesco.

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