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Oggi un grande quotidiano ha pubblicato un articolo a firma di Tullio Regge, noto fisico italiano, sul tema dei cibi transgenici.
Dopo la boutade del gennaio 2001, quando giocando su un
calembour scambiò il grano Creso con un OGM (e accusò
quindi tutte le industrie italiane di fare la pasta con gli OGM,
causando reazioni a livello europeo) ora Tullio Regge insiste sulla
sua confusione di termini, poco più di un trucco retorico,
scrivendo che “in commercio vi sono 2550 varietà di di OGM:
tutti li hanno mangiati, anche gli ambientalisti”.
Lo spunto è un rapporto del Ministro Alemanno che dice “gli
Ogm evidentemente incompatibili con l’agricoltura biologica”. Lui
risponde: il grano mutato ce lo mangiamo, anche biologico, e
nessuno dice niente. Il fatto è che il grano Creso
così come tutte le varietà di grano selezionato con
processi di mutagenesi dagli anni ’70 a oggi in effetti ha un
corredo genetico variato rispetto a quello “selvatico”, ma comunque
prospetticamente “naturale” poiché la mutagenesi indotta non
fa che accelerare i processi di selezione naturalmente occorrenti,
nel corso della filogenesi, a una specie vegetale.
Nel caso della modificazione genetica, o transgenesi, quel che si
fa è una – innaturale – storpiatura delle caratteristiche
genetiche di un organismo, pianta o animale, attraverso
l’inserimento di tratti di DNA che MAI e poi MAI potrebbero
fondersi, in natura, con la pianta originale: è un processo
di creazione di organismi viventi NUOVI, di cui nessuno conosce e
può conoscere le caratteristiche di adattabilità, di
aggressività, di affidabilità. Noi stiamo immettendo
nell’ambiente miliardi e miliardi di organismi transgenici mai
esistiti in natura.
Insomma, Tullio Regge confonde artatamente i termini: “mutati” con
“modificati”.
Quando scrive che tutti noi ci cibiamo di grano “mutato” senza
ovviamente che ne risulti danno alcuno per la nostra salute, si
chiede perché invece “dall’altra parte l’attivismo
ambientale si infuria appena sente nominare la transgenesi, un
procedimento molto meno traumatico che produce mutanti calibrati
con precisione estrema”. E conclude: “il riso Carnaroli e il melo
della Val d’Aosta sono minacciati d’estinzione da orde di parassiti
e potrebbero essere salvati dalla transgenesi”.
Ma se queste piante antiche e preziose possono essere salvati oggi
solo dalla benemerita industria biotech dalle “magnifiche sorti e
progressive”, com’è che sono giunti fino a oggi, a noi, dopo
secoli o millenni, e ora abbisognano assolutamente di modifiche
genetiche? Come hanno fatto finora? E non è che le “orde di
parassiti” sono divenute più devastanti proprio per colpa
dei pesticidi che hanno reso gli insetti infestanti più
aggressivi e a causa dell’inquinamento che ha abbassato le difese
naturali e si sono smarriti gli equilibri?
Insomma, sarebbe meglio accordarsi prima di tutto a livello
scientifico sul linguaggio tecnico che si vuole utilizzare, che
deve essere un linguaggio chiaro e condiviso dalla comunità
degli scienziati. E non dare mai più adito a confusioni e
forzature, lontane dalla genuinità tanto quanto una spiga
transgenica da una coltivata in modo bio.
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