Il Consiglio d’Europa: Italia indietro su migranti, diritti e libertà d’espressione

Il Consiglio d’Europa critica l’esternalizzazione delle domande di asilo e esorta l’Italia a tutelare di più donne, comunità Lgbt e giornalisti

  • Per il Consiglio d’Europa, l’Italia deve migliorare le normative in materia di migrazione e asilo, smettendo di ostacolare il lavoro delle ong nel Mediterraneo.
  • Nel rapporto si criticano fortemente gli accordi sul controllo delle frontiere siglati con Libia, Tunisia e Albania.
  • L’Italia deve trovare strumenti per garantire la parità di genere, l’accesso all’aborto e dotarsi di una normativa sulle violenze sessuali che espliciti il libero consenso.
  • Serve una disciplina che inserisca i crimini d’odio contro la comunità Lgbt.
  • L’Italia deve impegnarsi contro le “querele bavaglio” e tutelare i giornalisti.

La fotografia che emerge dall’ultimo report del Consiglio d’Europa sull’Italia in merito al rispetto dei diritti delle minoranze, della parità di genere e del diritto all’informazione è preoccupante. Il rapporto, redatto in seguito alla visita della Commissaria per i diritti umani Dunja Mijatović dello scorso giugno, chiede a Roma di adottare delle misure in favore dei diritti dei migranti e dei richiedenti asilo, dei diritti delle donne e della comunità LGBT. Un altro tema che ha destato preoccupazione nella Commissaria è la situazione relativa alla libertà di espressione e alla tutela dei giornalisti.

La questione migratoria secondo l’analisi del Consiglio d’Europa

Pur sottolineando la necessità di una responsabilità europea condivisa per salvare vite in mare e riconoscendo gli sforzi dell’Italia in questo settore, Mijatović ha condannato le normative che criminalizzano le azioni delle navi delle ong nel Mediterraneo centrale e gli accordi di cooperazione con Libia, Tunisia e Albania.

Già nello scorso mese di febbraio, Mijatović aveva esortato il governo italiano a ritirare il Codice di condotta per le ong introdotto a gennaio. Il decreto mira a limitare le operazioni di salvataggio delle navi gestite dalle organizzazioni non governative impegnate nelle operazioni di salvataggio di migranti nel Mediterraneo. Gli appelli del Consiglio d’Europa non sono stati però ascoltati e il decreto è stato convertito in legge a marzo.

Come si può leggere nel rapporto, le ong “continuano a essere prese di mira nel dibattito politico e sono oggetto di campagne diffamatorie”, sequestri e indagini penali, “la stragrande maggioranza” delle quali viene archiviata nella fase preliminare. Nonostante la persecuzione delle navi della società civile, quest’anno gli sbarchi sono stati il 103 per cento in più rispetto al 2022 e solo il 5 per cento dei salvataggi in mare è stato gestito dalle navi delle ong.

La criminalizzazione delle attività (delle navi delle ong) è contraria agli obblighi dell’Italia in base al diritto internazionale

Dunja Mijatović, Commissaria per i diritti umani, Consiglio d’Europa

Violazione dei diritti umani

Secondo la Commissaria, gli accordi di cooperazione con Tunisia, Libia e Albania non garantiscono il rispetto dei diritti umani. Le attività di cooperazione che portano direttamente o indirettamente rimpatri in Libia dovrebbero essere sospese, in considerazione delle gravi e sistematiche violazioni dei diritti umani da parte delle milizie locali che, ormai, gestiscono i flussi migratori.

Desta grande preoccupazione anche la cooperazione con la Tunisia, che dovrebbe essere subordinata a garanzie complete sui diritti umani e nessun rimpatrio dovrebbe avvenire senza un’adeguata valutazione individuale. Per i cittadini tunisini, infatti, vige la procedura accelerata di analisi della domanda di protezione, nonostante non possa essere considerato un Paese sicuro, come esplicitato in una sentenza del tribunale di Firenze. Mijatović ha anche criticato il linguaggio generico utilizzato in relazione alla tutela dei diritti umani all’interno del Memorandum siglato a Tunisi con l’Unione Europea nello scorso mese di luglio, anche se, ad oggi, si trova in una situazione di stallo.

Altra questione è quella relativa al Memorandum d’intesa concluso con l’Albania nello scorso novembre, sospeso dall’Alta corte albanese. Secondo la Commissaria, la detenzione extraterritoriale di rifugiati, richiedenti asilo e migranti prevista dal documento potrebbe privarli di garanzie fondamentali. Ciò solleva preoccupazioni in particolare per quanto riguarda la detenzione automatica dei richiedenti asilo e la loro mancanza di accesso alle informazioni sul loro status giuridico, all’assistenza legale, al controllo giurisdizionale e al monitoraggio delle situazioni di ciascun interessato. Le autorità italiane dovrebbero dare priorità al miglioramento dei sistemi nazionali di asilo e accoglienza, e non alla loro esternalizzazione.

Meloni Rama
Giorgia Meloni ed il primo ministro albanese Edi Rama alla sigla dell’accordo © Simona Granati – Corbis/Corbis/Getty Images

Questione di genere e comunità LGBT: per il Consiglio d’Europa occorre fare di più

Per Mijatović, l’Italia ha sviluppato in modo considerevole la propria legislazione e politica nazionale, nonché il proprio quadro istituzionale per la promozione dell’uguaglianza di genere e la prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne. Tuttavia, persiste un marcato contrasto tra le garanzie legali in vigore e la situazione sul campo per quanto riguarda le disuguaglianze e la violenza di genere subita da donne e ragazze. Le continue violenze e discriminazioni contro le donne e le ragazze rimangono una preoccupazione prevalente e urgente.

Quanto affermato dal Consiglio d’Europa è confermato dai dati relativi al mercato del lavoro e alla violenza di genere. Secondo il Global Gender Gap, il divario di genere in Italia è peggiorato e il nostro Paese è scivolato dal 66esimo al 79esimo posto. L’Osservatorio sui lavoratori dipendenti del settore privato dell’Inps ha, invece, fotografato la situazione del gender pay gap: in Italia, una donna guadagna all’anno 7.922 euro in meno rispetto a un uomo. Ultimo dato allarmante relativo al mercato del lavoro è quello delle dimissioni. L’Ispettorato del lavoro ha evidenziato che nel 2022 il fenomeno delle dimissioni delle mamme lavoratrici è aumentato del 18,1 per cento. Mentre quello dei neo-genitori continua ad essere un elemento-chiave della disparità di genere. Il 63 per cento delle neo-mamme infatti indica tra le motivazioni la fatica nel tenere insieme l’impiego e il lavoro di cura a fronte del 7,1 per cento dei padri. In Italia, nel 2022, il tasso di partecipazione femminile al mercato del lavoro tra i 15 e i 74 anni è stato pari al 48,2 per cento, contro il 59,6 per cento della media dell’Unione Europea. Se il livello di partecipazione riuscisse ad equiparare quello comunitario, ci sarebbero 2,3 milioni di occupate in più.

In merito alla violenza di genere, nel rapporto è esplicitata la necessità di una normativa che basi “i reati di violenza sessuale, compreso lo stupro, sulla nozione di libero consenso”. Ad oggi, infatti, la normativa sulla violenza sessuale non esplicita tale nozione, se non nei pochi casi relativi ai minori di 16 anni. Il rapporto evidenzia anche la necessità di aumentare le tutele e il supporto alle vittime di violenza: indicazioni che risultano in netto contrasto con il taglio dei fondi alla prevenzione della violenza di genere (-70 per cento).

La Commissaria richiede, inoltre, garanzie l’accesso ai servizi di salute sessuale e riproduttiva, comprese le cure per l’aborto e la contraccezione.

Per quanto riguarda la comunità Lgbt, Mijatović sollecita le autorità ad allineare ulteriormente il quadro legislativo italiano agli standard del Consiglio d’Europa sulla lotta all’intolleranza e alle discriminazioni nei confronti delle persone Lgbt, includendo l’orientamento sessuale, l’identità e l’espressione di genere e le caratteristiche sessuali nelle attuali leggi contro la discriminazione, l’incitamento all’odio e la discriminazione. 

Tutelare i giornalisti

La Commissaria è allarmata infine dall’elevato numero di attacchi, intimidazioni e iniziative legali contro giornalisti e operatori dei media in Italia. Secondo quanto indicato dal rapporto, la normativa relativa viene spesso utilizzata dalla classe politica per perseguire i giornalisti con le cosiddette querele bavaglio. Secondo l’ultimo studio del Parlamento europeo, l’Italia detiene il poco invidiabile primato comunitario nell’uso di tali azioni legali contro i giornalisti, ed è il motivo centrale per cui il governo sta cercando in tutti i modi di boicottare la direttiva europea in materia, in discussione in queste settimane.

Durante la sua visita in Italia, Mijatović ha evidenziato un aumento degli attacchi ai giornalisti e alle giornaliste, soprattutto sui social media. In un contesto come quello attuale, in cui i lavoratori dell’informazione sono in pericolo a livello globale, il lavoro del Centro di coordinamento sul fenomeno degli atti intimidatori nei confronti dei giornalisti è sempre più necessario.

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