
Secondo il primo studio a indagare le cause del crollo della Marmolada, costato la vita 11 persone, l’evento è dovuto in gran parte alle alte temperature.
Aumenta il consumo di suolo soprattutto all’interno delle città italiane che, a dispetto di tanti proclami, continuano a perdere terreno (verde).
Ventiquattro metri quadrati l’anno per ogni ettaro di area verde. È il consumo di suolo registrato solo nel 2018. A riportare i tassi più elevati sono le città, come Milano e Roma: la prima perde 11 ettari di aree verdi su un totale di 11,5 di consumo di suolo, mentre Roma ha visto sparire 57 ettari su 75. L’unica in controtendenza è Torino che inverte la rotta recuperando 7 ettari di terreno. Sono questi i principali dati del Rapporto 2019 Ispra Snpa sul consumo di suolo in Italia, presentati in Senato lo scorso martedì.
A guardare la mappa dello stivale si nota subito come le grandi aree urbane siano le più colpite, sopratutto al Nord. Nemmeno il Centro e il Sud sono immuni, con l’Emilia Romagna, tutta la zona adriatica, la Puglia, il Lazio e la Campania. In totale, quasi la metà della perdita di suolo nazionale dell’ultimo anno si concentra nelle aree urbane, il 15 per cento in quelle centrali e semicentrali, il 32 per cento nelle fasce periferiche e meno dense. La cementificazione avanza senza sosta soprattutto nelle aree già molto compromesse: il valore è 10 volte maggiore rispetto alle zone meno consumate.
La definizione è data dallo stesso Istituto per la protezione ambientale: “è un processo associato alla perdita di una risorsa ambientale fondamentale, limitata e non rinnovabile, dovuta all’occupazione di una superficie originariamente agricola, naturale o seminaturale con una copertura artificiale”. La perdita della superficie naturale comporta il degrado del territorio e la perdita delle funzioni degli ecosistemi che “continuano a un ritmo non sostenibile”, come sottolineato nel rapporto.
I dati parlano di una media di 14 ettari al giorno, alla velocità di 2 metri quadrati al secondo, circa 20 campi di calcio. E con essi perdiamo la capacità di regolazione del flusso delle acque superficiali e sotterrane, di protezione e mitigazione dei fenomeni idrologici estremi, di controllo dell’erosione e dei nutrienti e della regolazione della qualità dell’acqua. Il consumo di suolo cresce anche nelle aree protette, in quelle vincolate per la tutela paesaggistica e in quelle a pericolosità sismica e idraulica.
I tempi sono maturi per approvare il disegno di legge sul consumo #suolo. Il 79% del nostro #territorio è a forte #rischio idrogeologico.#AvantiCosì.@SkyTG24
— Sergio Costa (@SergioCosta_min) September 18, 2019
Ma non si tratta solo di questo. Con le temperature medie italiane che già registrano valori di 1,5°C rispetto ai valori pre-industriali, continuare a sacrificare il suolo significa aumentare esponenzialmente l’effetto isola di calore delle aree cementificate in particolare nei periodi estivi.
“Il consumo di suolo in città ha un forte legame anche con l’aumento delle temperature: dalla maggiore presenza di superfici artificiali a scapito del verde urbano, infatti, deriva anche un aumento dell’intensità del fenomeno delle isole di calore”, spiegano dall’Ispra. “La differenza di temperatura estiva delle aree urbane rispetto a quelle rurali raggiunge spesso valori superiori a 2°C nelle città più grandi”.
Al di là dei facili proclami e della presunta volontà di aumentare le aree verdi con la messa a dimora di migliaia di alberi e altre essenze vegetali da parte delle amministrazioni pubbliche, i dati resi pubblici in questi giorni dicono l’esatto contrario. Che continuiamo ad essere sommersi da cemento e asfalto.
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