Dopo la Dichiarazione di Kunming il mondo deve stabilire piani concreti per la protezione della biodiversità. Ma i governi per ora sono molto distanti.
La Dichiarazione di Kunming adottata nello scorso mese di ottobre ha rappresentato un passo in avanti ma non è, almeno per ora, riuscita a far trovare un accordo tra le nazioni di tutto il mondo sulla protezione della biodiversità. È quanto emerge dalla prima parte di negoziati effettuati dal vivo (dopo mesi di discussioni in videoconferenza) dai delegati dei 150 stati che fanno parte della Convenzione delle Nazioni Unite sulla diversità biologica.
Ciascun governo ha posto le proprie condizioni
Riuniti per due settimane a Ginevra, in Svizzera, i rappresentanti delle nazioni hanno mostrato infatti ampie divergenze su chi, in che modo e con quali tempi debba dare attuazione concreta alla Dichiarazione. La bozza sulla quale si è lavorato appare ancora vaga e poco organica: “Assomiglia ad un albero di Natale sul quale ciascuno mette la propria decorazione. Dopo due anni di interruzioni, avevo sottostimato la necessità delle parti di esprimersi, il che ci ha fatto perdere molto tempo”, ha dichiarato Basile Van Havre, uno dei co-presidenti del gruppo di lavoro incaricato della redazione del documento.
Va detto che il fatto che ciascuna delegazione abbia posto in modo chiaro le proprie valutazioni potrebbe risultare da un certo punto di vista utile: meglio farlo con mesi di anticipo rispetto al momento in cui si dovrebbe – teoricamente – raggiungere un accordo concreto. La riunione definitiva della Cop 15 sulla biodiversità si terrà infatti in Cina, probabilmente tra la fine di agosto e l’inizio di settembre (ma le date ufficiali non sono state ancora diffuse dal governo di Pechino).
A rischio l’obiettivo del 30 per cento di terre e oceani protetti
Il risultato, finora, è tuttavia preoccupante: molti degli obiettivi numerici sono scomparsi dalla bozza di lavoro. E non c’è accordo nemmeno sui target di medio termine al 2030. E secondo informazioni trapelate dai delegati e riportate dalla stampa internazionale “c’è una diffusa sfiducia sulle soluzioni basate sulla natura”. Il che indica come numerose nazioni siano ancora lontane dal comprendere la necessità di tutelare e difendere gli ecosistemi.
In the lead up to #COP15 later this year, negotiators met in Geneva for the @UNBiodiversity meetings to establish goals and targets for the #post2020 global #biodiversity framework.
— UN Environment Programme North America (@UNEP_NAmerica) April 14, 2022
A rischio c’è anche l’obiettivo più emblematico della Dichiarazione, ovvero il raggiungimento del 30% di terre emerse e oceani protetto entro il 2030 (rispetto ai livelli attuali, pari rispettivamente al 17 e al 7 per cento). A sostenere apertamente il progetto sono solamente 90 nazioni. E tra gli scettici figura anche la stessa Cina, che ospita la Cop 15.
È scontro tra i governi sui finanziamenti per la biodiversità
Un altro punto sul quale c’è grande distanza tra i paesi è quello dei finanziamenti. In particolare Gabon, India, Pakistan, Brasile e altre nazioni sudamericane hanno chiesto agli stati più ricchi del mondo di stanziare 100 miliardi di dollari all’anno in una prima fase, quindi 700 miliardi per sostenere gli sforzi che dovranno affrontare le nazioni più povere.
Per evitare di arrivare in Cina in questa situazione di grave stallo, è stato deciso di effettuare un altro round di negoziati, che si terrà alla fine di giugno a Nairobi, in Kenya.
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