La proposta di togliere la scadenza all’autorizzazione delle sostanze attive dei pesticidi è contenuta in un pacchetto semplificazione della Commissione. Per gli ambientalisti in questo modo il profitto dell’industria prevale sulla salute.
Uno studio su sei cibi importati sottolinea la necessità di risposte da parte della Ue a un’emergenza reale e sempre più preoccupante per la sicurezza alimentare.
Grano, mais, riso, ma anche cacao, caffè e soia: la sicurezza delle principali importazioni alimentari dell’Unione europea è sempre più minacciata da fattori ambientali. A dirlo è un rapporto della società di consulenza Foresight Transitions, commissionato dalla Fondazione europea per il clima, che ha esaminato non solo la vulnerabilità climatica delle importazioni alimentari, ma anche i livelli di perdita di biodiversità o di natura subiti dai paesi esportatori interessati, sollevando domande sulla preparazione e sulla risposta della Ue a questo problema.
Lo studio ha analizzato sei importazioni alimentari chiave: mais, riso e grano – selezionati come alimenti base per la sicurezza alimentare globale – e cacao, caffè e soia – scelti come materie prime di importazione chiave per la produzione e le esportazioni agroalimentari dell’Ue. Ha utilizzato la classifica di preparazione climatica del Notre Dame Global Adaptation Index, che combina la vulnerabilità di un paese ai danni climatici con l’accesso al supporto finanziario e istituzionale, e un indice di integrità della biodiversità del Museo di storia naturale del Regno Unito, che confronta l’attuale abbondanza di specie selvatiche con i livelli premoderni.
I ricercatori hanno scoperto che oltre la metà delle importazioni dei prodotti proveniva da paesi vulnerabili al clima, con risorse limitate per l’adattamento. Questo è particolarmente evidente nel caso del riso, ad esempio, con oltre un terzo dell’offerta totale dell’Ue, per un valore di 1,5 miliardi di euro all’anno, ora minacciato dai crescenti impatti climatici. Inoltre, tre di questi alimenti– grano, mais e cacao – sono anche a rischio significativo a causa degli impatti legati alla biodiversità che amplificano la minaccia all’approvvigionamento già posta dal clima e aumentano la quantità di produzione minacciate. L’Unione europea dipende sempre più dalle importazioni di mais e almeno il 13,4 per cento del mais totale consumato nell’Ue è attualmente a rischio.
“Queste non sono solo minacce astratte, ma si stanno già manifestando in modi che incidono negativamente su aziende e posti di lavoro, nonché sulla disponibilità e sul prezzo del cibo per i consumatori. E la situazione non fa che peggiorare – ha detto la ricercatrice Camilla Hyslop –. Solo nel 2024, le inondazioni nel Regno Unito e in Francia hanno ridotto la produzione di grano e le alte temperature nell’Europa orientale hanno interrotto le colture di mais, rendendo le importazioni cruciali per la sicurezza alimentare, mentre le maggiori precipitazioni hanno fatto marcire il cacao nell’Africa occidentale, creando difficoltà per i produttori di cioccolato. Le piogge estreme hanno ridotto le rese di riso in Cina negli ultimi due decenni mostrandoci come può avvenire un calo della produzione nel lungo termine.”
Hyslop ha aggiunto: “Gli impatti climatici sono aggravati dal declino della biodiversità, che rende le aziende agricole e gli ecosistemi circostanti molto meno resilienti agli shock climatici e di altro tipo. Non solo le aziende agricole con una minore biodiversità sono meno resilienti alle malattie delle colture, ma queste malattie spesso emergono a causa della riduzione della biodiversità”. La ricercatrice ha poi spiegato: “Le rese, inoltre, sono influenzate in modo più ampio dalla distruzione della vegetazione autoctona, che può modificare i microclimi locali, e da pratiche come la monocoltura, che impoveriscono il suolo e danneggiano gli ecosistemi biologici alla base della produzione alimentare”.
È l’industria del cioccolato dell’Ue – con un valore stimato di 50 miliardi di dollari – ad affrontare la minaccia maggiore, con il 97 per cento del suo input principale di cacao proveniente da paesi con un punteggio climatico basso-medio o inferiore, mentre il 77 per cento proviene da paesi con un punteggio di biodiversità medio o inferiore.
Le importazioni europee di cacao si concentrano in pochi paesi dell’Africa occidentale – Costa d’Avorio, Ghana, Camerun, Nigeria – che stanno subendo impatti sul clima e sulla biodiversità con previsioni di peggioramento entro il 2030 e nei decenni successivi. Il valore delle importazioni dell’ultimo anno è aumentato del 41 per cento.
“Da questo contesto emerge chiaramente che le importazioni sono parte integrante della sicurezza alimentare dell’Ue e che la nostra ricerca, a sua volta, dimostra che questa sicurezza alimentare è sempre più minacciata dalle vulnerabilità dei paesi partner in termini di clima e biodiversità”, ha affermato Mark Workman, direttore di Foresight Transitions e coautore del rapporto. “Il reshoring (la rilocalizzazione delle produzioni, ndr) è una risposta del tutto insufficiente. Non solo l’Unione europea farebbe fatica a coltivare alcune di queste materie prime in grandi quantità, ma si trova anche ad affrontare minacce climatiche e di biodiversità, per non parlare delle spiacevoli implicazioni sull’uso del suolo di un significativo reshoring della produzione alimentare.”
Per i ricercatori è nell’interesse dei responsabili politici europei investire seriamente nella resilienza climatica dei produttori partner, nonché nelle infrastrutture commerciali estere, come i porti, che supportano questo commercio e sono anche soggetti a stress ambientali. “È un messaggio importante da trasmettere in un momento in cui i bilanci degli aiuti esteri vengono spesso contrapposti agli investimenti in difesa e sicurezza, ma la verità è che sono due facce della stessa medaglia”, ha concluso Workman.
Il rapporto presenta una serie di raccomandazioni politiche per contribuire a garantire le importazioni alimentari della Ue, come misure a sostegno dei piccoli agricoltori che coltivano la maggior parte delle colture al centro dello studio, ma che non ricevono un reddito sufficiente per adattarsi ai cambiamenti climatici e a cui sono destinati appena lo 0,3 per cento dei finanziamenti internazionali per il clima.
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