I piccoli produttori agricoli garantiscono la sicurezza alimentare in Asia e Africa subsahariana, ma sono vulnerabili all’impatto della crisi climatica.
Le organizzazioni che rappresentano 350 milioni di piccoli produttori agricoli si sono rivolti ai leader riuniti per la Cop27 di Sharm el-Sheikh.
Finora la stragrande maggioranza delle sovvenzioni alla produzione alimentare è andata a pratiche che danneggiano il clima, la biodiversità e la salute.
I piccoli produttori hanno bisogno di essere sostenuti nel percorso di adattamento ai cambiamenti climatici.
Gli ultimi due anni ci hanno insegnato molto. Tra il 2020 e il 2021, la pandemia ha portato quasi 150 milioni di individui in più a soffrire la fame. All’inizio del 2022 si è aggiunta anche la guerra in Ucraina che ha fatto impennare i prezzi dell’energia e delle materie prime alimentari: in soli tre mesi, 71 milioni di abitanti dei paesi in via di sviluppo sono scivolati sotto la soglia della povertà estrema. Il che si tradurrà di nuovo, inevitabilmente, in fame. In questi due anni abbiamo visto con i nostri occhi quanto il sistema alimentare globale, nel suo insieme, sia estremamente vulnerabile agli shock esterni. E tutt’altro che pronto per un futuro in cui gli eventi meteo estremi saranno la normalità. Inizia con queste considerazioni una lettera aperta ai leader globali, riuniti in Egitto per la Cop27 sul clima, scritta dalle organizzazioni che rappresentano oltre 350 milioni di piccoli produttori agricoli. Piccoli produttori agricoli che chiedono a gran voce di essere ascoltati e sostenuti, dopo decenni in cui sono stati sistematicamente ignorati e tenuti ai margini del dibattito sul clima.
I piccoli produttori agricoli sfamano l’Africa e l’Asia
A dispetto di quanto suggerisce questa denominazione, i piccoli produttori agricoli danno un contributo cruciale alla sicurezza alimentare. Soprattutto in quei territori in cui la fame è una minaccia concreta. A livello globale, più di otto aziende agricole su dieci operano su appezzamenti inferiori ai due ettari: sono dunque 475 milioni e occupano soltanto il 12 per cento dei terreni agricoli ma, per contro, forniscono l’80 per cento del cibo prodotto in Asia e nell’Africa subsahariana.
“I produttori delle nostre reti sfamano milioni di persone e supportano centinaia di migliaia di posti di lavoro, ma hanno raggiunto un punto di rottura. È necessario un massiccio impulso ai finanziamenti per il clima per garantire che i produttori su piccola scala dispongano delle informazioni, delle risorse e della formazione necessarie per continuare a nutrire il mondo per le generazioni a venire”, ha commentato Elizabeth Nsimadala, presidente della Federazione degli agricoltori dell’Africa orientale che ne rappresenta 25 milioni.
The UN climate conference #COP27 must put the world back on track to:
✅cut emissions ✅boost climate resilience & adaptation ✅keep the promise on climate finance ✅address loss & damage from the climate crisis,
I colossi agroindustriali si prendono la gran parte dei finanziamenti
Ogni anno, infatti, si spendono circa 611 miliardi di dollari per sovvenzionare la produzione alimentare. Un rapporto dell’Alleanza globale per il futuro del cibo fa notare quanto l’86 per cento di questi fondi sia destinato a pratiche e soggetti che hanno un impatto potenzialmente distruttivo sul clima, sulla biodiversità e sulla salute. Restano quindi tagliati fuori i piccoli produttori agricoli del sud del mondo, proprio quelli che avrebbero ancora più bisogno di questi finanziamenti, per poter resistere agli sconvolgimenti portati dai cambiamenti climatici. Una necessità che finora è stata ignorata. Nel 2018 a loro è stato destinato soltanto l’1,7 per cento della finanza per ilclima, cioè 10 miliardi di dollari. Ne servono 240 all’anno per permettere loro di adattarsi ai cambiamenti climatici.
“Questo non può continuare”, sostiene Ma Estrella Penunia, segretaria generale dell’Associazione degli agricoltori asiatici per lo sviluppo rurale sostenibile che rappresenta 13 milioni di persone. “I leader devono ascoltare gli agricoltori e spendere il loro peso politico e la loro forza finanziaria per il passaggio a una produzione alimentare più diversificata, sostenibile ed emancipante: l’agroecologia, la pesca, la silvicoltura e la pastorizia”.
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