Cop29, senza azioni sul clima 20 milioni di persone in fuga attorno al Mediterraneo

Uno studio della rete di esperti MedECC e dell’Unione per il Mediterraneo mostra quanto il bacino sia vulnerabile di fronte al riscaldamento globale.

Gli sforzi in materia di mitigazione del riscaldamento globale e di adattamento ai suoi impatti, da parte dei paesi del Mediterraneo, sono ancora insufficienti per garantire un futuro vivibile. A spiegarlo è la rete di esperti sui cambiamenti climatici e l’ambiente MedECC, assieme all’Unione per il Mediterraneo (UpM), in un rapporto presentato oggi, lunedì 18 novembre a Baku, mentre è in corso la ventinovesima Conferenza mondiale sul clima delle Nazioni Unite (Cop29).

Un terzo della popolazione del Mediterraneo vive vicino al mare

L’analisi – curata da Piero Lionello, dell’università del Salento, da Mohamed Andel Monem, consulente indipendente, assieme a Ines Duarte dell’UpM – si concentra sulle conseguenze della crisi climatica nella macro-regione, con un’attenzione particolare ai problemi posti all’ambiente delle zone costiere, nonché ai collegamenti tra acqua, energia, alimentazione e ecosistemi. “Un terzo della popolazione del Mediterraneo vive in prossimità immediata del mare, che la rende una delle regioni più esposte al mondo ai rischi di inondazione”, si legge nel documento. Secondo il quale gli impatti legati all’innalzamento del livello dei mari e la moltiplicazione della frequenza e dell’intensità dei fenomeni meteorologici estremi faranno sì che “gli impatti si aggraveranno negli anni a venire, se non verranno adottate misure urgenti da subito”.

Il che si traduce non soltanto nella riduzione immediata e drastica delle emissioni di gas ad effetto serra, ma anche in “soluzioni innovative, o in comportamenti meno energie come nel caso della generalizzazione della dieta mediterranea”. Secondo Duarte, “il Mediterraneo rappresenta un elemento costitutivo dell’identità e del patrimonio delle ventidue nazioni che vi affacciano. Ma è venuto il momento di accettare che il mare come lo abbiamo conosciuto fino ad oggi potrebbe non esistere più, se i nostri sforzi per contrastare i cambiamenti climatici continueranno ad essere insufficienti”.

pesce mediterraneo
Sovrapesca, pesca illegale e cambiamenti climatici minacciano le popolazioni ittiche del Mediterraneo © iStock

Il livello del mare cresce ad un ritmo doppio rispetto alla media del Ventesimo secolo

I dati utilizzati dai ricercatori sono quelli del Rapporto di valutazione mediterranea Mar1, il primo studio scientifico che valuta gli impatti del riscaldamento globale sul bacino. Se i trend attuali non verranno modificati, di qui alla fine del secolo fino a 20 milioni di persone potrebbero essere costretti ad abbandonare le loro case e le loro terre in modo permanente.

D’altra parte, il rapporto precisa che “l’attuale tasso di innalzamento annuale del livello del mare nel Mediterraneo è di circa 2,8 millimetri all’anno, il doppio rispetto alla media del XX secolo, mentre entro la fine del XXI secolo il livello medio potrebbe salire di un metro”. Inoltre, gli ecosistemi potrebbero essere modificati profondamente dalle ondate di caldo marino, “la cui frequenza e durata sono aumentate rispettivamente del 40 e del 15 per cento negli ultimi due decenni”.

L’inquinamento derivante da plastica asfissia il Mediterraneo

Tutto ciò va ad aggravare una situazione già compromessa dall’inquinamento derivante dalla plastica, che impone danni ecologici e socio-economici preoccupanti”, spiegano i ricercatori. “La plastica rappresenta fino all’82 per cento dei rifiuti complessivamente osservati, il 95-100 per cento del totale di quelli galleggianti e oltre il 50 per cento di quelli presenti nel fondale. Entro il 2040, le perdite di tale materiale in mare potrebbero raddoppiare se la produzione annua continuerà a crescere al ritmo del 4 per cento e la gestione dei rifiuti non subirà un netto miglioramento”, avvisa il report.

Tuttavia, non tutto è perduto: lo studio ricorda una serie di strumenti giuridici, politici ed economici disponibili. Si va dalle regolamentazioni applicate dai governi alla possibilità di collaborare a livello regionale per risolvere problemi comuni. “Le opzioni verdi, come le soluzioni basate sulla natura e le pratiche di gestione agroecologica, hanno impatti positivi e sono le più trasformative”, sottolinea lo studio. Ma è necessaria anche la promozione di un modello di sviluppo sostenibile, che sia in grado di slegare la crescita economica dal consumo di energia.

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