
Secondo il primo studio a indagare le cause del crollo della Marmolada, costato la vita 11 persone, l’evento è dovuto in gran parte alle alte temperature.
Si sente parlare sempre più spesso della conferenza sul clima che si tiene a Parigi. Ecco una breve guida su cos’è e perché è così importante.
La Cop 21 è la ventunesima conferenza annuale delle parti, l’organo della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (United Nations framework convention on climate change, Unfccc), il trattato che conta l’adesione di 196 paesi e aperto alle firme durante la Conferenza sull’ambiente e lo sviluppo di Rio de Janeiro, in Brasile, del 1992. La prima Cop si è tenuta nel 1995. Ecco spiegato perché quella che si tiene a Parigi, in Francia, dal 30 novembre all’11 dicembre 2015 è la numero 21. Questa conferenza ha il compito di portare avanti i negoziati tra i paesi per cercare di contenere e ridurre le emissioni di CO2 in atmosfera e contrastare così il riscaldamento globale e i cambiamenti climatici.
L’importanza della Cop 21 è dovuta al fatto che da questo appuntamento ci si aspetta l’adozione di un nuovo accordo globale che includa tutti i paesi della comunità internazionale, da quelli industrializzati (come Stati Uniti e Unione europea) e maggiormente responsabili della concentrazione attuale di CO2 in atmosfera, ai paesi emergenti o in via di sviluppo (come Cina e India) che hanno considerevolmente aumentato le loro emissioni negli ultimi anni. Per questo, c’è bisogno anche del loro impegno per riuscire a raggiungere un accordo efficace e che guardi al futuro.
Nel corso degli anni, sono stati diversi gli appuntamenti importanti. Ad esempio, la Cop 3 che si è tenuta a Kyoto, in Giappone, nel 1997 ha dato vita all’omonimo protocollo, il primo accordo che ha vincolato i paesi industrializzati a ridurre le emissioni entro certi limiti. Poi c’è stato il “fallimento” della Cop 15 di Copenaghen, in Danimarca, che avrebbe dovuto far nascere un nuovo accordo globale che prolungasse o si sostituisse al Protocollo di Kyoto, in scadenza nel 2012.
La fiducia verso l’appuntamento del 2015 dipende dal fatto che questa volta le richieste sono state rovesciate. Non sono più i delegati a imporre ai paesi vincoli e riduzioni, ma sono i governi degli stessi paesi che sono stati chiamati a inviare all’Unfccc la loro proposta di riduzione della CO2. Un ribaltamento che ha pressoché spinto anche i paesi meno propensi quantomeno a interessarsi e a mandare dati e numeri ufficiali.
Se l’Unione europea aveva già promesso di voler ridurre la CO2 del 40 per cento entro il 2030 rispetto ai livelli registrati nel 1990, fa ben sperare la promessa dell’amministrazione americana guidata da Barack Obama di voler ridurre tra il 26 e il 28 per cento la CO2 entro il 2025 rispetto ai livelli del 2005. Target simile per il Giappone che ha promesso una riduzione delle emissioni del 26 per cento entro il 2030, ma come livello di riferimento ha preso il 2013. Tra i paesi in via di sviluppo, va citato il Messico che sostiene di riuscire a ridurre la CO2 del 22 per cento entro il 2030 rispetto ai livelli attuali, cioè rispetto alla quantità di gas ad effetto serra che il paese americano produce nel contesto economico attuale. Tutte le promesse fatte dai paesi per contenere la CO2.
Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 4.0 Internazionale.
Secondo il primo studio a indagare le cause del crollo della Marmolada, costato la vita 11 persone, l’evento è dovuto in gran parte alle alte temperature.
Il traffico aereo è responsabile del 2,4% delle emissioni di CO2, il che rende urgente l’avvio di azioni concrete da parte del settore per limitare l’impatto dei voli. L’esempio virtuoso di Air Dolomiti.
Viviamo in un mondo caratterizzato da molte crisi: sanitaria, economica e climatica. Da qui, nasce l’idea di creare una Costituzione della Terra.
Con l’installazione di Termoli ha preso il via la campagna “L’impronta del gigante invisibile”: ognuno di noi produce 7 tonnellate di CO2 all’anno.
Catania vive ore drammatiche a causa di un ciclone che potrebbe trasformarsi in un Medicane (Mediterranean Hurricane), un uragano paragonabile a quelli di origine tropicale.
Intervista a Gianmaria Sannino, climatologo dell’Enea: il Mediterraneo è un hotspot climatico, 50 gradi in Sicilia rischiano di diventare una consuetudine.
Nuovo rapporto del Cmcc mostra che le ondate di calore e le alluvioni saranno comuni a tutte le città, con una tendenza di crescita che appare già in atto. Ma le politiche di adattamento funzionano.
Uno studio della Banca Mondiale ha stimato il numero di migranti che potrebbero fuggire dalle loro terre, entro il 2050, per colpa del clima.
Intervista a Piera Tortora, coordinatrice del progetto Sustainable ocean for all dell’Ocse: “Si rischiano effetti globali catastrofici e irreversibili”.