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Cuba sta razionando l’elettricità, e il cibo della ‘libreta’ scarseggia. Pesano embargo, post-pandemia e inflazione, aumentano scontento ed emigrazione.
C’è un paese che attraversa una crisi silenziosa, forse meno violenta rispetto a una guerra, ma che si trascinando stancamente da mesi, se non da anni. Cuba, l’isola che per molte persone rappresenta un’ideale di giustizia e per altrettanti una dittatura, è sull’orlo del collasso economico, oltre che sociale: scarseggiano l’elettricità, la benzina, il lavoro, ma anche alimenti di prima necessità, tra quelli garantiti dalla libreta, ovvero la tessera annonaria destinata ai cittadini, come il latte e il caffè. Al punto che l’allarme, per una volta, trapela perfino dallo stesso regime socialista, oggi guidato dal presidente Miguel Díaz-Canel, rilanciato dall’organo di stampa ufficiale del Partito comunista, Granma, solitamente più propenso alla propaganda che alla cronaca.
In un articolo della scorsa settimana, infatti, Granma fa il punto sul deficit di carburanti che sta attanagliando il paese, e che ricorda quello affrontato qualche tempo fa dal Venezuela, riportando anche le preoccupazioni espresse dal vice primo ministro e titolare del ministero dell’Economia e pianificazione, Alejandro Gil Fernández, e di Vicente de La O’Levy, ministro di Energia e miniere circa la “complessa situazione che vive il paese in materia di generazione elettrica per deficit di combustibile, così come l’impatto in altri aspetti prioritari per il popolo”. De La O’Levy, in particolare, in un evento pubblico ha ricordato come nei mesi di luglio e agosto il governo de L’Avana abbia dovuto “aumentare le ore di mantenimento pianificato”. “Il paese sta facendo uno sforzo gigantesco con tutti i combustibili, ed è la priorità numero uno. È vero che lavoriamo quasi alla giornata, ma non abbiamo esaurito gli approvvigionamenti, né vi giungeremo”.
Il razionamento ha colpito soprattutto abitazioni private e uffici, ha spiegato il governo, perché è stata data priorità all’agricoltura, per garantire la produzione e il raccolto di alimenti per i mercati agricoli. Ma i ministri hanno ammesso che esistono problemi nel trasporto pubblico, locale, inter-municipale, inter-provinciale, per il trasporto dei lavoratori e per i traghetti che fanno la spola per l’Isola della Gioventù.
Non è migliore la situazione dal punto di vista dell’approvvigionamento alimentare: per i beni garantiti dalla tessera annonaria, Gil Fernandez ha ammesso che “è giusta la preoccupazione della popolazione, dato che ci sono stati ritardi e non è stato possibile consegnare molti prodotti nel mese corrispondente”. Questo perché, dipendendo quasi interamente dall’export, “gli alimenti li dobbiamo pagare in anticipo e per questo ci vuole disponibilità di valuta corrente”. Disponibilità che al momento evidentemente non c’è. Per quanto riguarda settembre e ottobre, Gil Fernandez ha detto che “si è cercato d’assicurare il latte per i bambini” e che “forse si potrà ristabilire la consegna del caffè”.
Ma la più grande ammissione, seppur mascherata da promessa, è nelle parole conclusive del suo intervento: “Senza nessun tipo di allarmismo, senza nessuna depressione, anche se abbiamo dovuto fare cambi che aprono la breccia delle disuguaglianze, il nostro piano di sviluppo va in direzione socialista, e usciremo non solo da questo momento, ma manterremo il cammino del recupero economico”.
La realtà, però, ha numeri diversi: secondo l’ultimo rapporto sullo Stato dei diritti sociali a Cuba, presentato nei giorni scorsi dall’Osservatorio cubano per i diritti umani a Miami (Ocdh), città simbolo dell’esodo cubano verso gli Stati Uniti, ma realizzato attraverso un sondaggio su un campione di residenti sull’isola, l’88 per cento dei cubani vive in condizioni di povertà estrema, ovvero sotto la soglia individuata in 1,90 dollari al giorno (comunque bassissima): il 13 per cento in più rispetto al 2022. Tutta colpa, secondo l’Ocdh, soprattutto della crisi alimentare e dell’inflazione che hanno impattato gravemente l’economia della maggior parte delle famiglie nell’ultimo anno. La preoccupazione per la crisi alimentare è aumentata di 5 punti rispetto all’anno precedente, attestandosi al 70 per cento, seguita da problemi come quelli salariali (50 per cento) e inflazione (34 per cento). Ma i risultati indicano un peggioramento anche nel settore della salute pubblica, da sempre fiore all’occhiello di Cuba. Quasi 9 cubani su 10 (86 per cento) sono critici nei confronti della gestione economica e sociale del governo. In questo contesto, il 68 per cento dei cittadini giudica “molto negativa” la gestione del governo (in notevole aumento di +17 punti rispetto all’anno precedente).
Il governo cubano continua a dare la colpa al blocco, all’embargo statunitense che affligge L’Avana ormai dall’indomani della rivoluzione castrista del 1959, e che ovviamente ha un peso molto rilevante per la salute dell’isola impossibilitata ad effettuare scambi commerciali che sarebbero fondamentali. Ma secondo il Council of foreign relation, un think tank statunitense specializzato in politica estera e affari internazionali, il regime comunista di Cuba è al punto più debole degli ultimi decenni: “I problemi economici dell’isola, la fuga dei cervelli, la persecuzione dei dissidenti da parte del regime e il decadimento delle istituzioni statali stanno tutti imponendo un prezzo elevato, ma data la presa repressiva delle autorità sulla società, è improbabile che il cambiamento sia all’orizzonte”.
Problematiche che sono state accentuate da vari fattori nell’ultimo quinquennio, come la decisione presa dal Venezuela di fermare la fornitura energetica a causa della crisi interna di Caracas, l’interruzione degli accordi economici con paesi importanti come Brasile e Colombia rispettivamente sotto i governi conservatori di Jair Bolsonaro e Ivan Duque (ora entrambi sostituiti da governi socialisti, con una prospettiva dunque di ripresa dei rapporti con Cuba). La pandemia di Covid-19 ha ulteriormente colpito l’economia cubana, con una forte contrazione economica e lo stop totale del turismo, che rimane una delle principali voci economiche del paese e la cui ripresa è ancora piuttosto lenta: nell’ottobre 2022 il numero di visitatori internazionali era ancora inferiore alla metà del totale dello stesso mese del 2019. Per l’anno in corso il governo si era proposto 3,5 milioni di turisti, il doppio rispetto al 2022, ma anche l’anno scorso le stime si erano rivelate troppo ottimistiche.
Nonostante alcuni piccoli passi verso la liberalizzazione economica, il progresso delle riforme è in stallo, e ciò ha portato a una crescente emigrazione di cubani in cerca di migliori opportunità all’estero. Sotto la leadership di Miguel Díaz-Canel, che ha preso il posto di Raúl Castro come presidente nel 2018 e successivamente è diventato segretario del Partito comunista cubano, la situazione è peggiorata, con una gestione economica problematica: nel contesto della crisi inflazionistica globale Cuba, che importa circa il 70 per cento del suo cibo, ha visto salire i prezzi dei prodotti alimentari e il tasso di inflazione complessivo dell’isola è stato pari a circa il 200 per cento al suo culmine, mentre adesso sembra diminuire più lentamente rispetto ad altri paesi della regione.
Nonostante il crescente malcontento popolare, spiega il Council of foreign relation, Díaz-Canel non ha mostrato alcuna intenzione di liberalizzare il sistema politico, ma ha addirittura introdotto leggi più severe contro il dissenso. Le elezioni del marzo 2023 per il rinnovo dell’Assemblea nazionale hanno visto una significativa astensione, indicando un crescente malcontento tra i cubani: un cubano su quattro non ha votato, a fronte di una media storica di affluenza del 95 per cento. Tuttavia, il sistema repressivo e monopartitico di Cuba rende difficile il cambiamento dall’interno, e molte persone cercano di sfuggire all’instabilità economica e alla repressione emigrando, con centinaia di migliaia di cubani che cercano di raggiungere gli Stati Uniti attraverso il Nicaragua, nonostante la prospettiva di finire detenuti nei centri posti al confine meridionale degli States: dal 2021, è quello che è capitato a circa 374mila cubani, circa il 3 per cento della popolazione dell’isola.
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