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Il fondo Primo Climate investe in DMAT, la deep tech italo-americana che rende il calcestruzzo più durevole e ne abbatte le emissioni di CO2.
Siamo circondati da calcestruzzo. Sono di calcestruzzo le strutture portanti degli edifici, i marciapiedi e le piste ciclabili, le barriere autostradali, i ponti. Un elenco che potrebbe continuare a lungo. “Da lontano il calcestruzzo è tutto uguale, da vicino c’è tanta tecnologia”: lo assicura Paolo Sabatini, Ceo e co-fondatore di DMAT, una società deep tech che vuole raddoppiare la vita di servizio di questo materiale e ridurre fino al 60 per cento la sua carbon footprint (impronta di CO2). DMAT sta scrivendo i suoi prossimi capitoli anche grazie a un aumento di capitale realizzato da poco: il primo round di 4,5 milioni di dollari si è chiuso a ottobre 2025 con una domanda superiore alle quote disponibili. A guidarlo in qualità di lead investor è stata Primo Capital Sgr attraverso il fondo Primo Climate, dedicato proprio al climate tech.
Nel mondo si costruiscono oltre 4,3 milioni di edifici all’anno, che corrispondono a 33 miliardi di tonnellate di calcestruzzo: numeri che, secondo le stime, aumenteranno di un altro 30 per cento entro il 2050. Non stupisce dunque che oggi il mercato del calcestruzzo superi i mille miliardi di euro annui, circa l’1 per cento del prodotto interno lordo (Pil) mondiale.
Tutto questo ha un costo per l’ambiente. Dei quattro ingredienti base del calcestruzzo (cemento, sabbia, ghiaia e acqua), il più problematico è il cemento, perché la sua produzione richiede temperature altissime – fino a 1.450 gradi – e comporta una reazione chimica, detta calcinazione, che libera grandi quantità di CO2. È dunque soprattutto a causa del cemento se il settore del calcestruzzo, da solo, contribuisce all’8 per cento delle emissioni globali di CO2.
Se la produzione di cemento è così impattante, aumentarne la durata può davvero fare la differenza. È da questa intuizione che, nel 2020, Paolo Sabatini e il professor Admir Masic del Massachusetts Institute of Technology (Mit) di Cambridge avviano la loro collaborazione. “Abbiamo lavorato in parallelo sia sulla ricerca scientifica, con una pubblicazione su Science Advances nel 2023, sia sulla validazione tecnologica, insieme ai laboratori industriali”, racconta a LifeGate Paolo Sabatini.
Il risultato è una tecnologia innovativa, basata su filler e miscele proprietarie, che permette al calcestruzzo di “cicatrizzarsi” da solo quando si aprono fessure dovute al ritiro del materiale durante l’asciugatura, a sbalzi termici, a sovraccarichi o cedimenti strutturali, alla corrosione delle armature interne di ferro o a errori nella posa. Questo sistema raddoppia la vita utile delle strutture e riduce la percentuale di cemento necessaria nel ciclo di vita di calcestruzzo e malte. Abbattendo quindi drasticamente la loro impronta di CO2.
“Io e Admir Masic abbiamo fondato una società in Italia nel 2021 e una negli Stati Uniti nel 2023, arrivando a commercializzare la nostra soluzione l’anno scorso”, continua Sabatini. “Ora abbiamo un processo certificato e marcato CE in Italia, siamo sul mercato italiano e svizzero e vogliamo portare la produzione anche negli Stati Uniti e nei paesi del Golfo persico, dove c’è un grande interesse nei confronti della durabilità delle costruzioni”.
Nell’Unione europea, un assist arriva anche dalla revisione della norma EN 206 (elaborata dal Cen, il Comitato europeo di normazione, e recepita in Italia dall’Uni) che mette nero su bianco una metodologia univoca per classificare il calcestruzzo a seconda delle sue emissioni di CO2 per metro cubo. “Questa metrica permette alle pubbliche amministrazioni di prevedere, nelle gare d’appalto, una premialità per chi fornisce calcestruzzo con una carbon footprint inferiore alla media nazionale”, ipotizza Sabatini.
Tra le prime applicazioni di DMAT c’è la riparazione del muro di contenimento di un’autostrada in Svizzera, intervento che ha evitato la demolizione dell’opera. “Siamo partiti dalle infrastrutture, più complesse, per dimostrare che la nostra tecnologia funziona anche per usi semplici come quelli civili”, spiega Paolo Sabatini. “Non è una soluzione di nicchia: l’abbiamo sviluppata dialogando con tutta la filiera, dagli architetti fino agli ingegneri e alle imprese”.
DMAT, insomma, ha mostrato di avere tutte le caratteristiche che Primo Climate cerca nelle realtà in cui investe: “Riduce le emissioni di CO2, ha una tecnologia validata e comporta vantaggi concreti di tipo economico e industriale. Tutto questo senza modificare i processi produttivi: il calcestruzzo si produce, si trasporta e si lavora sempre allo stesso modo, con gli stessi processi e gli stessi macchinari”, riassume Simone Molteni, direttore scientifico di LifeGate e partner del fondo insieme a Giusy Cannone ed Ezio Ravaccia.
La missione del fondo è proprio questa: far crescere imprese ad alto contenuto tecnologico, nate o basate in Italia, che portano vantaggi sia in termini climatici sia in termini industriali. “Inaugurare un’opera crea consenso a livello politico. Ispezionarla e manutenerla molto meno, perché bisogna sostenere altre spese e creare disagi per la popolazione”, fa notare Molteni. “Per qualsiasi amministrazione, a prescindere dalla sua sensibilità nei confronti del clima, è conveniente poter mantenere in sicurezza un’autostrada intervenendo ogni quarant’anni e non più ogni vent’anni”.
E non è scontato che tutto questo avvenga in Italia. “Questo round è un segnale importante per l’ecosistema dell’innovazione italiana: l’invenzione ha mosso i suoi primi passi a Cambridge ma ha poi trovato in Europa tutti gli ingredienti per crescere ed essere sviluppata e migliorata”, conclude Molteni. “Oggi il cuore dell’operatività e della ricerca e sviluppo risiede in Italia e, anche in presenza di investitori di rilievo internazionale, il lead investor è italiano (Primo Climate). Mi sembrano ottime notizie per il sistema paese”.
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