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Le proteste in Ecuador contro il raddoppio del prezzo della benzina hanno paralizzato per giorni il paese: i morti sono stati 7 e i feriti 1.340.
Dopo settimane di mobilitazioni, ed in particolare dodici giorni di proteste popolari di estrema violenza, il governo dell’Ecuador ha raggiunto un accordo con i manifestanti. Nella giornata di domenica 13 ottobre, l’esecutivo ha deciso così di ritirare un decreto con il quale venivano soppresse le sovvenzioni ai carburanti.
È stato proprio quest’ultimo, infatti, a scatenare la contestazione nelle strade della capitale Quito. Le proteste sono state talmente vaste e tenaci da aver letteralmente paralizzato il paese. Bloccando strade, ferrovie, servizi e trasporti pubblici. E provocando, dal 3 ottobre, un totale di sette morti, 1.340 feriti e 1.152 arresti, secondo un organismo pubblico di difesa dei diritti.
Dopo giorni e giorni di barricate e scontri violenti tra popolazione e forze dell’ordine, il governo era arrivato a decidere di spostare la sede dell’esecutivo a Guayaquil, nella porzione meridionale del paese. A Quito, al contempo, era stato decretato il coprifuoco e la città era stata posta sotto il controllo dell’esercito fino a nuovo ordine.
Gli scioperi avevano inoltre colpito numerose produzioni cruciali per la nazione andina, a partire da quella di petrolio garantita dalla compagnia pubblica Petroamazonas. La settimana scorsa l’azienda si è attestata sui 165mila barili al giorno, ovvero il 31 per cento in meno di quanto garantito normalmente, secondo quanto indicato dal ministero dell’Energia.
Ecuador’s Moreno to repeal fuel subsidy cuts in deal to end protests https://t.co/00Pm25nhTp pic.twitter.com/E22DXWaI3u
— Reuters Top News (@Reuters) October 14, 2019
A ribellarsi è stata soprattutto la comunità indigena, che rappresenta un quarto della popolazione. Essa si è scagliata contro il decreto, sottolineando le conseguenze sociali di un immediato e sostenuto rialzo del prezzo dei carburanti, con il costo di un pieno in crescita anche del 123 per cento. Grazie a tale aumento, il governo puntava ad ottenere un risparmio pari a 1,3 miliardi di dollari ovvero l’ammontare complessivo delle sovvenzioni. Una richiesta arrivata dal Fondo monetario internazionale (Fmi) in cambio di un prestito da 4,2 miliardi di dollari.
Ad agevolare il dialogo tra gli indigeni è stata la chiesa cattolica, come confermato anche da Arnaud Peral, rappresentante in Ecuador delle Nazioni Unite. Da parte sua, il presidente della Confederazione delle nazionalità indigene dell’Ecuador, Jaime Vargas, ha confermato che “le mobilitazioni sono annullate su tutto il territorio nazionale”.
In un discorso trasmesso alla televisione, il presidente Lenin Moreno – un liberale eletto tra i socialisti – ha utilizzato parole di riconciliazione: “Fratelli indigeni, vi ho sempre trattati con rispetto e affetto. Colpire chi ha meno risorse, i più poveri, non è mai stato il nostro intento”. Ciò nonostante, Vargas ha sottolineato “l’improvvisazione in politica economica” dell’esecutivo, affermando che “si ha la sensazione che siano la destra e il Fmi a governare il paese. Abbiamo assistito ad una violenza inaudita contro il popolo, ad un terrorismo di stato”.
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