Etiopia, le ragioni dei violenti scontri etnici costati la vita a 86 persone

Un militante molto popolare nella comunità oromo in Etiopia ha accusato il primo ministro Abiy Ahmed di aver ordito un complotto contro di lui.

L’Etiopia ha attraversato settimane drammatiche. Sono almeno 86 le persone che sono morte nel corso di violenti sconti nel paese africano, principalmente nella regione di Oromia. Il primo ministro Abiy Ahmed, premio Nobel per la pace per le sue politiche di riconciliazione con l’Eritrea, è stato accusato di aver scelto una strada autoritaria da uno dei leader della comunità Oromo, la principale etnia etiope.

Amnesty International riporta scene di violenza efferata

Le manifestazioni sono cominciate mentre Ahmed era a Sotchi, in Russia, per un vertice internazionale. Migliaia di persone sono scese in piazza per protestare e la polizia ha risposto aprendo il fuoco: il bilancio è stato di una decina di vittime. La maggior parte dei morti è stata causata tuttavia da scontri interetnici. A conferma del fatto che l’odio all’interno del paese ancora non è sopito, nonostante i tentativi del premier di unire il popolo dell’Etiopia.

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Abiy Ahmed Ali ha ricevuto il premio Nobel 2019 per la Pace per aver riportato la pace con la vicina Eritrea © Zacharias Abubeker / Afp / Getty Images

L’associazione Amnesty International ha riportato informazioni agghiaccianti: “Alcune persone sono state uccise a colpi di bastone o di machete. Sono state incendiate delle case e esplosi proiettili”. Da parte sua, Ahmed ha invece affermato di voler “lavorare senza sosta per far prevalere lo stato di diritto ed assicurare i responsabili alla giustizia”.

La rivolta nata da un’accusa dell’attivista oromo Jawar Mohammed

Ma da dove originano le proteste? Principalmente dalla querelle che vede opposto Ahmed ad Jawar Mohammed, militante di nazionalità americana. Considerato lo stratega della rivoluzione oromo, la comunità più popolosa del paese, per anno è stato in grado di mobilitare migliaia di giovani contro il potere etiope. Ciò unicamente attraverso i social network, mentre risiedeva nel Minnesota, negli Stati Uniti.

Tali rivolte, assieme a quelle di comunità come gli Amhara, hanno portato alla caduta dell’ex primo ministro e portato proprio all’arrivo al potere di Abiy Ahmed, nell’aprile del 2018. Pochi mesi dopo, Mohammed è stato invitato a rientrare dall’esilio e gli è stata assicurata una scorta. Tuttavia, prima dello scoppio delle ultime proteste, il militante oromo ha lanciato una pesante accusa contro l’attuale governo.

Le elezioni del 2020 in Etiopia in dubbio per ragioni di sicurezza

Secondo quanto riferito da lui stesso, la sua scorta sarebbe stata allontanata senza preavviso: “Il piano era di consentire di lanciare successivamente contro di me una folla di persone all’assalto”, ha scritto Mohammed. Il messaggio ha provocato l’ira dei suoi sostenitori, che la mattina seguente si sono ritrovati spontaneamente in piazza di fronte alla sua abitazione ad Addis Abeba, capitale dell’Etiopia, con l’obiettivo di proteggerlo. Da lì è nata la protesta contro Ahmed, che in breve si è in breve propagata all’intera regione.

Il tutto con, sullo sfondo, le elezioni previste per il prossimo mese di maggio. Che tuttavia già sono state poste in dubbio, per via dell’impossibilità di garantire la sicurezza nel paese. Mohammed, inoltre, contrariamente a quanto ripetuto in passato, non ha escluso di volersi candidare. Il che potrebbe contribuire ad inasprire lo scontro interno.

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