Il G20 che si è tenuto a Nuova Delhi, in India, nelle giornate di sabato nove e domenica 10 dicembre ha confermato quanto già emerso in passato: il mondo è fortemente diviso sulla questione del ruolo delle fonti fossili, sia a medio che a lungo termine. E in particolare sulla necessità di abbandonare ilpetrolio e il gas.
Al G20 in India negoziati difficili, ma un nuovo impegno sulle rinnovabili
Benché infatti le 20 economie più potenti della terra abbiano avanzato la promessa di triplicare, di qui al 2030, la produzione da fonti rinnovabili (fatto in qualche modo inaspettato e che rappresenta una sorpresa positiva), i negoziati dal punto di vista della transizione energetica sono risultati nel loro complesso estremamente difficili. Il che rappresenta un elemento di preoccupazione soprattutto in vista della ventottesima Conferenza mondiale sul clima delle Nazioni Unite, la Cop28 che si terrà a Dubai a cavallo tra i prossimi mesi di novembre dicembre.
India's G20 climate leadership leans into renewable energy — but sidesteps coal https://t.co/Pf4tqatxcZ
Alla scarsa coesione dei governi sulla questione, infatti, si aggiunge la decisione degli Emirati Arabi Uniti di scegliere come presidente della Cop il sultano al-Jaber, amministratore delegato della Abu Dhabi national oil company (Adnoc), la compagnia petrolifera di stato. La questione delle fossili sarà dirimente, poiché un’uscita da tali fonti (per lo meno quelle unabated ovvero prive di sistemi di cattura della CO2, ancorché l’efficacia di tali tecnologie sia ancora dibattuta) è indispensabile. A confermarlo è stato anche il primo bilancio ufficiale sullo stato di attuazione concreta dell’Accordo di Parigi, pubblicato dalla Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (Unfccc). Secondo il quale il mondo è ancora “indietro in tutti i settori” se si vuole centrare l’obiettivo di limitare la crescita della temperatura media globale ad un massimo di 1,5 gradi centigradi, entro la fine del secolo, rispetto ai livelli pre-industriali.
I Venti discutono ancora di carbone e non menzionano neppure petrolio e gas
Al contrario, la dichiarazione finale del summit del G20 si accontenta di chiedere “un’accelerazione degli sforzi verso la riduzione della produzione di elettricità a partire dal carbone”. Va detto che tale fonte, la più nociva in termini di emissioni di gas effetto serra, è stata effettivamente al centro dei negoziati alla Cop26 che si è tenuta a Glasgow, in Scozia, nel 2021. E se si aggiunge il fatto che la mitigazione dei cambiamenti climatici è stata sostanzialmente ignorata alla successiva Cop27 di Sharm el-Sheikh, in Egitto, non stupisce, purtroppo, che attorno al carbone ancora si discuta.
The world’s largest economies agreed to push for a tripling of renewable energy capacity by 2030, but made no progress on oil and gas phaseouthttps://t.co/TzfkYXn0EF
Stando alla dichiarazione del G20, inoltre, si evince che anche per altri combustibili fossili (petrolio e gas) non c’è accordo in termini di possibile phase out (uscita), ma neppure di phase down (riduzione). La sola formulazione inserita nel documento è legata alla “razionalizzazione, a medio termine, delle sovvenzioni inefficaci alle energie fossili”. Ove sulla parola “inefficaci” si possono aprire, come facilmente immaginabile, enormi spazi di interpretazione.
Paradossalmente, il G20 ammette la necessità di abbattere le emissioni
Eppure, paradossalmente, stessi dirigenti del G20 hanno riconosciuto che l’obiettivo degli 1,5 gradi “necessita una riduzione rapida, forte e sostenuta delle emissioni, pari al 43 per cento di cui al 2030 rispetto ai livelli del 2019”. Come riuscirci, continuando a bruciare carbone (almeno in parte), petrolio e gas, non è dato saperlo. Per questo Friederike Roder, vice-presidente dell’organizzazione non governativa Global Citizen, ha commentato la dichiarazione finale parlando di “un pessimo segnale per il mondo”.
A Nuova Delhi, infine, si è nuovamente parlato dei finanziamenti che il mondo ricco e maggiormente responsabili della crisi climatica dovrà concedere ai paesi più poveri vulnerabili per adattarsi agli impatti del riscaldamento globale. La dichiarazione ammette che gli investimenti debbano aumentare considerevolmente. Si tratta tuttavia dell’ennesima volta che i governi si esprimono in tal modo, senza però mai aver fatto seguire alle parole i fatti.
Il primo Summit africano sul clima mostra numerose divisioni
Pochi giorni prima del G20, dal 4 al 6 settembre, si è inoltre tenuto il primo Summit africano sul clima a Nairobi, in Kenya. Il segretario generale delle Nazioni Unite, António Guterres, ha ribadito che “le energie rinnovabili potrebbero rappresentare il miracolo africano”. Ciò nonostante, esattamente come nel caso del Gruppo dei Venti, il continente mostra forti divisioni al proprio interno.
Nei loro discorsi, i capi di stato e di governo hanno puntato più sul sottolineare le loro specificità e necessità particolari, piuttosto che su uno sguardo globale. Il presidente della Repubblica Democratica del Congo, Denis Sassou-Nguesso, ritiene che occorra puntare tutti i finanziamenti sulla tutela delle foreste: nel suo paese, in Indonesia e in Brasile. Il suo omologo dell’arcipelago delle Comore, Azali Assoumani, ha puntato sul ruolo degli oceani, come anche Ismail Omair Guelleh, capo di stato del Gibuti.
Accelerate action on adaptation, finance, & deliver climate justice that Africa deserves. This was the key message emerging from the #AfricaClimateSummit.
Dal vertice di Nairobi la richiesta di una carbon tax sulle fossili
Una disgregazione che si è riprodotta anche sulla questione della transizione energetica: il Senegal, ad esempio ha sottolineato a chiare lettere la propria necessità di poter contare sul gas come fonte di transizione. E numerose nazioni produttrici di petrolio faticheranno a rinunciarvi.
Tuttavia, il summit si è concluso anche con una richiesta da parte dei paesi africani: che si raggiunga un consenso globale per una carbon tax sui combustibili fossili. I cui proventi potrebbero essere utilizzati proprio per la mitigazione dei cambiamenti climatici e per l’adattamento da parte delle nazioni più esposte.
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