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Nei secoli, la vicinanza con l’uomo ha fatto dimenticare al gatto la sua origine selvatica. Non dobbiamo però dimenticare le sue esigenze in fatto di dieta.
Il gatto che poltrisce sul nostro divano, si accoccola fra le nostre braccia e fa le fusa quando ci vede non sembra, dal punto di vista morfologico, diverso dal suo antenato selvatico che iniziò ad accompagnare la storia umana secoli e secoli fa. Eppure, la civilizzazione e la compagnia dell’uomo hanno influito sul felino che ora ci dorme in grembo, cambiandone le abitudini, ma anche differenziando le funzioni e le attitudini del suo cervello. Vediamo come.
Sembra che l’addomesticamento dei gatti, in migliaia di anni, abbia modificato le dimensione del loro cranio mentre il loro cervello è diventato progressivamente più piccolo. È quanto emerge da uno studio condotto dall’Università di Vienna e dal National museums Scotland nel quale sono stati confrontati i crani dei gatti domestici contemporanei con altre specie di gatti selvatici, in particolare con quello della lince rossa (Felis silvestris) e del gatto selvatico africano (Felis silvestris lybica), considerati le prime sottospecie di felini addomesticati dagli egizi. Negli ultimi 10mila anni i gatti e gli uomini hanno sviluppato una relazione molto stretta in cui, attraverso la selezione artificiale, i primi hanno gradualmente rinunciato alle caratteristiche dei loro antenati selvatici in cambio di una continua fornitura di cibo e attenzioni domestiche.
Il gatto, quindi, è diventato un dispensatore di coccole e un amico fidato – anche se diverso dal cane sotto questo aspetto – e si è allontanato dalle sue primitive caratteristiche naturali. Secondo gli autori il risultato della ricerca è coerente con diversi studi precedenti che hanno dimostrato che anche le dimensioni del cervello di cani, pecore e conigli dei nostri giorni sono diminuite rispetto ai loro antenati non addomesticati. Le cause sarebbero da ricercarsi nella diminuzione delle cellule della cresta neurale che sono responsabili dell’elaborazione e della risposta alle minacce.
L’abitudine di vivere dei gatti, come quella dei cani, in ambienti protetti dagli uomini avrebbe ridotto la necessità di essere pronti a fronteggiare pericoli e aggressioni nella vita quotidiana. Meno paure e più tranquillità, allora, e il gatto ha dimenticato una parte del suo essere selvatico per trasformarsi man mano in un compagno “coccoloso” e affettuoso fra le mura di casa.
Se il nostro gatto è ormai un compagno di vita e sembra aver scordato certe abitudini selvatiche, non dobbiamo dimenticare che la sua dieta poggia su dei canoni essenzialmente predatori che ne fanno un carnivoro per eccellenza. “Il gatto moderno è molto simile al suo antenato, come morfologia e come comportamento, ed è rimasto un cacciatore notturno e solitario di piccole prede (uccelli, rettili e roditori). Il suo apparato digerente non ha subito modifiche poiché l’alimentazione è rimasta invariata nei millenni, lasciandolo così restare un vero e proprio carnivoro”, spiega la dottoressa Chiara Dissegna, medico veterinario e membro del gruppo Nutravet che si occupa di nutrizione animale.
Ci sono, poi, delle considerazioni importantissime da fare per quel che riguarda l’aspetto alimentare dei felini. Nel gatto, che ha uno sviluppo incredibile dell’olfatto più ancora che del gusto, la scelta dell’alimento è fatta prevalentemente con il naso. I sapori che percepisce infatti sono limitati: apprezza il cosiddetto umami, per esempio, che corrisponde al sapore del glutammato monosodico (fornito dai tessuti animali), il salato e un po’ di acido. Non percepisce invece il dolce e ha una notevole avversione per l’amaro.
“Ma non solo! Oltre all’olfatto, nella scelta del cibo il gatto utilizza il tatto: la forma, la consistenza e la temperatura della pietanza sono fondamentali (motivo per il quale l’industria del pet food ha lanciato cibi per gatti di ogni forma, colore e consistenza). Il suo stomaco è funzionale proprio all’attività di cacciatore. Infatti è capace di accogliere piccole prede che vengono ingerite pochi minuti dopo la caccia ancora calde, e può fare tra i dieci e i diciassette pasti al giorno. Nello stomaco inizia una digestione prevalentemente enzimatica. E gli enzimi come pepsina e lipasi, insieme a un succo gastrico molto acido, trasformano il bolo ingerito in chimo, un liquido brodoso e acido che prosegue nell’intestino tenue. Il pH così acido è utilissimo anche ad abbattere la carica batterica dell’alimento”, aggiunge la dottoressa Dissegna.
Malgrado la civilizzazione, quindi, i gatti rimangono dei cacciatori notturni e solitari che consumano spesso piccole prede appena uccise. Non possiamo certo soddisfare la propensione del felino di casa a cacciare topolini vivi, ma possiamo aiutarlo a sopperire alla perdita del suo istinto selvatico naturale offrendogli piccoli pasti durante la giornata, aiutandolo con una serie di ciotole nascoste in casa per distribuire il cibo, soddisfacendo la sua propensione al gioco e alla caccia.
Altro importantissimo fattore da prendere in considerazione quando vogliamo avvicinare l’alimentazione del gatto di casa a quello del suo progenitore selvatico, è la variabilità della dieta. Diversi studi hanno dimostrato, infatti, come i felini selvatici siano in grado di scegliere le varie prede per avere un’alimentazione bilanciata e confacente alle loro esigenze. Quando coccoliamo il nostro gattino e cerchiamo di soddisfare tutti i suoi desideri, non dimentichiamo mai la sua natura selvatica e aiutiamolo a conservarne un po’. Il nostro piccolo amico ne guadagnerà certamente in salute e benessere.
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