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Giovanni Storti del notissimo trio comico Aldo, Giovanni e Giacomo racconta come la sua dedizione alla corsa abbia influenzato il suo rapporto con la natura, promuovendo un nuovo equilibrio tra corpo e psiche.
È opinione comune che ad ogni attore brillante basti dismettere momentaneamente il ruolo di scena per lasciarsi invadere da una pensosità quasi melanconica che nessuno si aspetterebbe mai di poter cogliere in lui.
Nel caso di Giovanni Storti, co-protagonista del notissimo trio comico Aldo, Giovanni e Giacomo, ci accorgiamo, intervistandolo, di come l’umorismo collaudato e talvolta surreale espresso sul palcoscenico possa lasciare spazio ad un’indole tutt’altro che incline alla tristezza ma di certo particolarmente riflessiva e votata all’introspezione.
Con leggerezza ed affabilità Giovanni, già co-autore dello spassoso volumetto Corro perché mia mamma mi picchia (Mondadori, premio Bancarella Sport 2014), ci racconta la sua passione, tardiva ma entusiastica ed estremamente rigorosa, per la corsa, vera e propria svolta esistenziale dalla quale sono scaturiti un più intenso rapporto con la natura e un rinnovato equilibrio tra corpo e psiche.
“Ho cominciato a correre a cavallo dei cinquant’anni, avendo, prima di allora, quasi esclusivamente giocato a calcio”, rivela Storti. “Da podista mi sono subito orientato verso il cosiddetto ‘trail running‘, che si contraddistingue per essere praticato esclusivamente in contesti naturali quali la montagna, il deserto, la collina, il bosco o la pianura: praticamente ormai utilizzo l’asfalto soltanto per allenarmi”.
“Ma la scoperta della corsa è avvenuta in concomitanza con la lettura dei libri del noto psicologo dello sport Pietro Trabucchi, che individua un interessante collegamento tra sport e resilienza. Fatica, dolore, stress e contrattempi sono fattori esistenziali che la maggior parte delle persone tende a rifuggire o addirittura rimuovere, mentre, al contrario, l’attività fisica e atletica ci rende più attrezzati per fronteggiarli, affinando e irrobustendo le risorse individuali che naturalmente possediamo a tale scopo”.
Non a caso, i testi di Trabucchi illustrano la curiosa ed istruttiva etimologia del termine “resilienza” che, ancor prima di designare la nostra capacità di reagire a traumi e difficoltà rimanendo saldi nei nostri obiettivi, era un sostantivo appartenente all’ambito della metallurgia.
In tale contesto tecnologico, infatti, “resiliente” è il metallo che resiste ai trattamenti cui viene sottoposto, sebbene il termine letterale venga invece ricollegato al latino “re-salio”, che significa rimbalzare, saltare ma anche risalire su una barca rovesciata da una tempesta per riprendere la navigazione.
“Praticare la corsa mi ha regalato non soltanto un surplus di endorfine, ovvero di sostanze chimiche benefiche che ricompensano lo sforzo fisico – continua Giovanni Storti – ma mi ha reso più capace di affrontare gli ostacoli, di esercitare un distacco salutare da alcuni aspetti dell’esistenza”.
E non stentiamo ad immaginare fino a che punto il decantato “mondo dello spettacolo” possa rivelarsi uno dei più esigenti dal punto di vista della resilienza psicologica.
“Sì, in scena sei continuamente sollecitato a dimostrare qualcosa – annuisce l’attore – anche quando, come nel nostro caso, svolgi questo mestiere ormai da tanti anni. Il tasso di competitività è sempre molto elevato ma la disciplina mentale acquisita attraverso lo sport ti aiuta anche a reggere una simile pressione e a gestire al meglio ogni imprevisto”.
Oltre ad incidere sul suo equilibrio interiore, per Giovanni Storti il podismo è ben presto diventato anche una peculiare categoria del viaggio, conducendolo dall’Islanda al Brasile, dal Marocco all’Etiopia, a Beirut, Gerusalemme e mille altre destinazioni.
“Correre può essere anche un’alternativa alle normali modalità turistiche con cui si visitano luoghi nuovi” puntualizza infatti l’attore.
Residente a Milano in un’ex-casa di ringhiera allietata da terrazze, alberi e fiori, Giovanni, che ci ha illustrato la sua filosofia abitativa, predilige spazi aperti dove si possa circolare liberamente e interagire in relax con il vicinato. Del resto, la sua vocazione di runner con una media di allenamento assestata sui 10 chilometri in poco più di 43 minuti, suggerisce un’indole votata all’esplorazione ben più che alla stanzialità, alla concentrazione piuttosto che all’evasione.
“Quando corro non voglio iPod, auricolari o altri aggeggi per ascoltare la musica”, conclude Giovanni. “Mi basta ascoltare il suono del corpo e di tutto ciò che lo circonda”.
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