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Alla giornalista della Cnn Christiane Amanpour aveva detto che non avrebbe accettato alcun compromesso sull’esecuzione di nove spacciatori arrestati “perché ogni anno circa 18mila persone muoiono per droga in Indonesia”. E così è stato. Il presidente Joko Widodo non ha fatto alcuna marcia indietro, e gli otto (solo una donna è stata graziata) sono stati
Alla giornalista della Cnn Christiane Amanpour aveva detto che non avrebbe accettato alcun compromesso sull’esecuzione di nove spacciatori arrestati “perché ogni anno circa 18mila persone muoiono per droga in Indonesia”. E così è stato. Il presidente Joko Widodo non ha fatto alcuna marcia indietro, e gli otto (solo una donna è stata graziata) sono stati fucilati.
La notizia ha fatto il giro del mondo, non tanto per la contrarietà della comunità internazionale nei confronti della pena di morte, di per sé già sufficiente, quanto per il fatto che sette uomini erano stranieri. Due australiani, tre nigeriani, un ghaneano, un brasiliano.
Da tempo, soprattutto il governo australiano aveva tentato una mediazione con l’Indonesia per cercare di riabilitare i due criminali nel loro paese. Myuran Sukumaran e Andrew Chan erano stati arrestati dieci anni fa (aprile 2005) mentre cercavano di trasportare più di otto chilogrammi di eroina, da Bali in Australia.
Tony Abbott, primo ministro australiano, ha richiamato in patria l’ambasciatore in Indonesia, Paul Grigson, dopo aver definito le esecuzioni “cruente e non necessarie”. È la prima volta che succede. Un gesto non solo simbolico visto che l’Australia ha nell’Indonesia un partner forte nel controllo delle frontiere visto che ogni anno sono decine di migliaia le persone che dal Sudest asiatico cercano di raggiungere le coste australiane o di altri paesi più ricchi e stabili.
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