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Instagram non fa abbastanza per punire gli autori di insulti misogini. È quanto emerge da un’analisi dell’ong britannica Center for countering digital hate.
Ha superato – sembra – i due miliardi di utenti unici mensili, quasi un abitante della Terra su quattro. È diventato il mezzo con il quale una fetta sempre più grande della popolazione si informa su qualsiasi argomento, dalla politica internazionale alle ricette di cucina. Stiamo parlando di Instagram, il social network più popolare della galassia fondata Mark Zuckerberg. Un luogo che, però, è anche il terreno fertile per una pioggia di insulti misogini, spesso impuniti. A dimostrarlo è un’analisi condotta dall’organizzazione no profit britannica Center for countering digital hate.
Allo studio hanno partecipato come volontarie cinque donne di spicco: Amber Heard, attrice e attivista nominata come Human rights champion delle Nazioni Unite; Rachel Riley, conduttrice televisiva; Jamie Klingler, attivista per i diritti delle donne e co-fondatrice di Reclaim these streets; Bryony Gordon, giornalista; e infine Sharan Dhaliwal, giornalista, scrittrice e fondatrice della testata Burnt Roti. Messi insieme, i loro account contano 4,8 milioni di follower in totale.
I ricercatori hanno preso in esame 8.717 direct message (messaggi privati) spediti a Riley, Klingler e Dhaliwal. Scoprendo che ben 567, cioè il 6,5 per cento, costituiscono abusi o molestie. I messaggi di testo sono quelli che contengono meno insulti misogini (65 su 1.889, il 3,4 per cento), ma la percentuale cresce analizzando le note vocali (20 su 142, cioè una su sette), le immagini (374 su 6.059, il 6,2 per cento) e i video (108 su 630, il 17,1 per cento). In particolare, 125 contenuti rientrano nella definizione di abuso sessuale per immagini: si tratta di immagini pornografiche inviate senza consenso, anche ritoccate per cambiare il volto delle protagoniste (in tal caso si parla di fake porn).
L’indagine non finisce qui. Perché i ricercatori hanno identificato 253 account che hanno inviato questi messaggi violenti e li hanno segnalati alla piattaforma. Le sue policy infatti proibiscono esplicitamente l’hate speech, gli insulti misogini, omofobi e razzisti, le minacce di violenza e la pornografia. A lungo Instagram, quando riscontrava violazioni, si è limitato a disabilitare momentaneamente la possibilità di inviare messaggi privati; a febbraio 2021, però, ha inasprito le regole promettendo di cancellare gli account dei responsabili. Un mese dopo essere stati segnalati dagli analisti, però, nove account su dieci (227, per la precisione) erano ancora attivi. “C’è un’epidemia di insulti misogini in corso nei direct message rivolti alle donne. Meta e Instagram devono anteporre i diritti delle donne al profitto”, chiosa Imran Ahmed, fondatore e presidente del Center for countering digital hate.
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