L’ultimo viaggio di un giornalista-pellegrino

Il 28 luglio, si è spento Tiziano Terzani, classe 1938, una delle voci più talentuose del giornalismo italiano e internazionale, scrittore di best sellers tradotti in tutto il mondo.

Instancabile viaggiatore, uomo colto e generoso, cronista per
vocazione e profondo conoscitore del continente asiatico, cui ha
dedicato molti dei suoi meravigliosi libri, Terzani ha trascorso
buona parte della vita viaggiando come corrispondente del
settimanale Der Spiegel e collaboratore del Corriere
della Sera
e de La Repubblica nei più
importanti paesi dell’Estremo Oriente (Vietnam, Cambogia,
Singapore, Hong Kong, Cina, Giappone, Thailandia, India)
raccontandone le tragedie e le grandi svolte epocali, i mutamenti
politici, sociali e culturali, molto spesso non indolori, scrivendo
inevitabilmente anche delle guerre di cui è stato
testimone.

Non deve essere stato facile per uno come lui, pacifista fino al
midollo, registrare, ma soprattutto capire, gli orrori e la follia
umana che spinge gli uomini ad annientarsi fra di loro. In Vietnam,
dopo la fuga dell’esercito americano da Saigon, fu uno dei rari
giornalisti stranieri a restare, a rischio della propria vita, per
documentare l’entrata vittoriosa dell’esercito nord vietnamita.
Perché, spiegò in seguito, voleva esserci a tutti i
costi quando sarebbe tornata finalmente la pace. Purtroppo, non fu
così. Le cose andarono diversamente, la pace non
arrivò e lui dovette lasciare il paese.

Dopo l’attentato dell’ 11 settembre alle Twin Towers, Tiziano
Terzani aveva iniziato a viaggiare tra il Pakistan e l’Afghanistan
e da questa esperienza è nato un altro libro bellissimo
Lettere contro la guerra (Longanesi) in cui sono raccolti
una serie di articoli sulla “nuova guerra” dichiarata dagli Usa al
terrorismo islamico. In verità, si tratta di lucide
riflessioni sugli avvenimenti dopo l’11 settembre in cui egli si
dichiara convinto che il solo modo per ritrovare la via della
ragione e della pace, l’unica maniera per far cessare la
discriminazione e l’odio che acceca e genera altro odio, sia il
dialogo, la scelta gandhiana della nonviolenza.

Terzani disse poi di aver scritto il libro per il suo nipotino,
perché un giorno potesse capire come mai “quel matto di suo
nonno, dopo una vita passata a fare l’inviato di guerra, sia alla
fine divenuto un inviato contro la guerra”.

Da allora, Tiziano Terzani non ha mancato a nessuno degli
appuntamenti importanti, quelli dove si è parlato di
pace…

Da allora, Tiziano Terzani non ha mancato a nessuno degli
appuntamenti importanti, quelli dove si è parlato di pace,
si è marciato per la pace e contro la guerra, si è
discusso di ecologia dell’informazione. E’ stata una presenza
serena e inconfondibile tra la gente, imponente, con la lunga barba
bianca e incolta, i capelli raccolti in un codino, il camicione
bianco di foggia orientale con la pashmina color arancio sulla
spalla; lo si poteva scambiare per un santone indiano.

I suoi libri hanno avuto grande successo in Italia e all’estero,
per la sua attività di reporter nel ’97 ha vinto il
prestigioso “Premio Luigi Barbini all’inviato speciale”. Attraverso
una scrittura semplice e raffinata, priva di pregiudizi e di
barriere ideologiche, Terzani è riuscito a raccontare come
nessun altro eventi importanti come il crollo dell’impero
sovietico, la liberazione di Saigon, la Cambogia di Pol Pot, la
Cina di Mao, ma soprattutto la magia e la bellezza dell’Asia, la
sua gente, la cultura, fonte di millenaria saggezza, con tutte le
sue contraddizioni più profonde e gli effetti dirompenti
della globalizzazione che fagocita lentamente ma inesorabilmente
valori umani e spirituali, spezza per sempre equilibri
secolari.

Da alcuni anni Terzani si era allontanato dalla professione di
cui non condivideva la nuova etica, monopolistica e commerciale, un
circo mediatico volgare e rumoroso, ma aveva continuato a
viaggiare, questa volta mosso dalla volontà di dare un senso
diverso alla vita, che fosse più intimo, alla ricerca di una
verità al di là dei fatti, la stessa che secondo gli
orientali trascende la sofferenza, le infelicità umane, la
morte stessa. Quella stessa sofferenza fisica, ma anche interiore,
che da un po’ di tempo era diventata anche la sua condizione di
normalità, per via di un male incurabile che, come un
fulmine a ciel sereno, gli si era rivelato improvvisamente e lo
aveva sfidato. E lui, che non si sarebbe mai arreso a niente, aveva
accettato la sfida, l’aveva raccontata nel suo ultimo libro “Un
altro giro di giostra” (Longanesi) e benedetto il suo male
perché, come scrive “da quel momento ho cominciato a vivere,
prima ero troppo impegnato a lavorare”.

In questo che è il più meditato, sofferto e
straordinario dei suoi libri, racconta quel viaggio che all’inizio
si traduce in un quasi abbandono del mondo occidentale e in un
ritorno alle fonti dell’Oriente, e si svolge negli incontri
inaspettati e fortuìti, nella realtà dei luoghi
lontani da casa e degli elementi naturali, in cerca di una cura per
il suo male, dagli Stati Uniti all’India, dalla Thailandia alle
Filippine, poi di nuovo in India, per vivere in solitudine
sull’Himalaya dove “sento che la mia vita, quella piccola vita nata
a Firenze nel 1938, cresciuta, andata a scuola, che ha scritto tre
librini, non è quella che conta, ma fa parte di una vita
molto più grande, stupenda, dentro l’universo, il sole, le
montagne, gli alberi” (Regaliamoci la pace, Ed. Nuovi Mondi)

In Un altro giro di giostra Tiziano Terzani racconta,
ma questa volta non da cronista, in che modo e perché ha
intrapreso questo lungo girovagare durato oltre cinque anni, un
viaggio di scoperta che gli ha rivelato per gradi, la sua vera
natura, la sua mappa interiore. E soprattutto insegnato che vivere
consapevolmente nel presente, qui e ora, significa essere
unificati, vivi e aperti alla saggezza e alla compassione. Uno dei
momenti di più intensa emozione è forse in una breve
frase, verso la fine del libro, un’intuizione lucida e coraggiosa :
“a pensarci bene dopo un po’ il viaggio non era più in cerca
di una cura per il mio cancro, ma per quella malattia che è
di tutti: la mortalità”.

Maurizio Torretti

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