Si chiamava Saly, aveva cinque anni. Nello scatto vincitore del World press photo 2024, il concorso di fotogiornalismo più importante al mondo, non si vede un centimetro del suo corpo senza vita. E non si vede nemmeno il volto della zia, Ines Abu Maamar, che lo stringe forte a sé. Mohammad Salem, fotografo dell’agenzia Reuters,
La dignità che spezza le catene, la resistenza delle donne schiave
La Giornata internazionale di commemorazione della tratta degli schiavi e della sua abolizione del 25 marzo è dedicata alle donne schiave.
Quello della tratta atlantica degli schiavi africani è un capitolo cupo, uno dei tanti, della storia della nostra specie, scritta troppe volte con il sangue anziché l’inchiostro. Tra il 1.500 e la fine dell’Ottocento oltre quindici milioni di persone sono state deportate verso l’America, si stima che un terzo di esse fossero donne.
Il ruolo delle donne ridotte in schiavitù è stato fondamentale, sia nella quotidiana lotta di resistenza contro gli schiavisti, che nel mantenimento e trasmissione delle proprie radici culturali e tradizioni. Le condizioni delle donne schiave erano perfino peggiori di quelle degli uomini, erano infatti oppresse per il loro stato di schiave, per il colore della loro pelle e per il loro sesso.
Oltre al massacrante lavoro nei campi le donne erano costrette a riprodursi per generare bambini che sarebbero diventati schiavi, evitando così ai padroni di comprane di nuovi. Questo escamotage, vero e proprio allevamento di schiavi, ha consentito inoltre di continuare ad usufruire di manodopera gratuita anche dopo l’abolizione della tratta degli schiavi.
Le donne schiave erano considerate alla stregua di oggetti, la legge non le proteggeva da stupri e abusi ed erano in completa balia di ciò che il padrone decideva di farne. In queste condizioni disumane spezzarsi sarebbe stato facile ma molte schiave scelsero di resistere, dando vita a diverse modalità di ribellione.
Tra queste c’erano la fuga, l’infanticidio, l’aborto, l’astinenza sessuale a costo della propria vita e persino il suicidio. La scelta di uccidere i propri figli, risparmiando loro le agonie della schiavitù, era un atto estremo che permetteva anche alle donne di riaffermare il controllo sulla loro riproduzione, e quindi recuperare la loro umanità, mettendo in crisi il sistema dello schiavismo.
Altri esempi di resistenza erano l’avvelenamento degli schiavisti o degli animali da soma, l’incendio doloso e il sabotaggio. Secondo il filosofo Nicolai Hartman, considerato che le donne erano trattate come oggetti, le loro azioni di rivolta sono state un modo per esprimere la propria individualità.
Uno degli aspetti più importanti di resistenza alla schiavitù era il mantenimento della cultura africana, fatta di nomi, artigianato, lingue, conoscenze scientifiche, credenze, filosofia, musica e danza. Questa “ribellione culturale” era determinante nell’aiutare psicologicamente i prigionieri a sopportare la schiavitù. Anche qui le donne hanno avuto un ruolo decisivo, soprattutto nella trasmissione della cultura africana da una generazione all’altra.
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