La rivoluzione di Caravaggio in mostra a Londra

Affiora puntualmente, ogni volta, un brivido di stupore nel constatare come i capolavori oggi riveriti alla stregua di indiscusse ed eccelse pietre miliari della storia dell’arte di tutti i tempi, abbiano quasi sempre assunto, al loro primo apparire, le sembianze dell’avanguardia, della rivoluzione, del sovvertimento spesso clamoroso di un gusto consolidato.   Nel caso di

Affiora puntualmente, ogni volta, un brivido di stupore nel constatare come i capolavori oggi riveriti alla stregua di indiscusse ed eccelse pietre miliari della storia dell’arte di tutti i tempi, abbiano quasi sempre assunto, al loro primo apparire, le sembianze dell’avanguardia, della rivoluzione, del sovvertimento spesso clamoroso di un gusto consolidato.

 

Nel caso di Caravaggio l’impatto folgorante e sconvolgente che ogni sua immagine produce ancora oggi, a distanza di oltre 4 secoli, sull’osservatore contemporaneo, è un eloquente ed utilissimo indizio per intuire sino a che punto il pubblico di fine Cinquecento-inizio Seicento potesse rimanere turbato e scosso dall’irresistibile miscuglio di realismo e dramma che balzava prepotentemente fuori da quelle tele.

 

Fin dai suoi esordi romani, infatti, Michelangelo Merisi sfoggiò i crismi dell’originalità e dell’innovazione assoluta: i suoi dipinti giovanili affollati di ragazzi aitanti, di musicisti, cartomanti e bari, brulicanti di vita e concretezza, passavano tutt’altro che inosservati e sarebbero stati immediatamente seguiti dalle prime importanti commissioni pubbliche e private.

 

E sebbene, come ha sottolineato il direttore della National Gallery, Gabriele Finaldi, le platee dell’epoca si fossero prontamente scisse tra denigratori ed apologeti dell’arte caravaggesca, è un dato di fatto innegabile che fin dal 1600 cominciarono le migrazioni di artisti che accorrevano a Roma da ogni parte d’Europa per osservare e studiare l’opera del Merisi.

 

Caravaggio
La National Gallery di Londra

 

 

La mostra londinese inaugurata oggi, curata da Letizia Treves e tale da qualificarsi, con i suoi 49 dipinti, come la prima grande esposizione britannica su Caravaggio e i caravaggisti, si prefigge appunto l’obiettivo di illustrare i numerosi e decisivi influssi che questo artista irripetibile seppe irradiare sui contemporanei, pur non avendo fondato una vera e propria scuola ma godendo, già in vita, di una fama vertiginosa.

 

“Beyond Caravaggio”, che resterà visitabile a Londra sino al 15 gennaio 2017, per poi emigrare in trasferta nella National Gallery irlandese (11 febbraio-14 maggio) e successivamente in quella scozzese (17 giugno-24 settembre), riesce dunque a radunare e a rendere contemporaneamente disponibili una serie di tele provenienti non solo dai musei internazionali ma anche da castelli, collezioni private, chiese e magioni sparse tra Gran Bretagna e Irlanda. Per chi abbia voglia di documentarsi ulteriormente sulla pittura caravaggesca, il museo ha congegnato un fitto programma di approfondimenti, conferenze pubbliche ed eventi collaterali (disponibile a questo link).

 

L’iniezione di vita che travolge le convenzioni pittoriche

 

Michelangelo Merisi da Caravaggio (1571-1610) attraversò come una fulminea cometa la storia dell’arte del suo tempo e difficilmente avrebbe potuto immaginare che da quel patrionimico (ovvero il paese del bergamasco in cui nacquero i suoi genitori e che fu a lungo erroneamente ritenuto il suo luogo d’origine, prima di scoprire che in realtà era nato a Milano) sarebbe derivato un aggettivo –caravaggesco o, alla straniera, “caravaggesque”– così straordinariamente denso di significati.

 

Di indole esuberante, passionale, spesso aggressiva ed irruenta, il Merisi, tra risse, bassifondi ed episodi truculenti come il lancio di un piatto di cibo caldo sul viso di un interlocutore e addirittura il coinvolgimento in un assassinio, incarnò, nella sua breve ma intensa esistenza, quella tipologia di artista “maledetto” ante litteram che trova piena consonanza nella sublime drammaticità della sua arte.

 

Caravaggesco è innanzitutto quel tipico uso teatrale e marcatamente chiaroscurale della luce radente, che il pittore milanese otteneva posizionando alcune lanterne nei punti strategici della scena che intendeva raffigurare, in modo da enfatizzare i volumi dei corpi e degli oggetti facendoli emergere da uno sfondo buio.

 

 

Caravaggio
La cattura di Cristo (1602), Photo © The National Gallery of Ireland, Dublin

 

 

Un simile impiego del chiaroscuro si rivela perfettamente funzionale non solo al dinamismo del racconto ma anche ad una serie di sottolineature concettuali e simboliche, come avviene ad esempio nel caso del Giovanni Battista in mostra, la cui nettissima ombreggiatura sotto il mento allude all’imminente decapitazione che subirà di lì a poco su richiesta di Salomè.

 

Dunque la quintessenza del termine “caravaggesco” consiste, più in generale, nella tensione spiccata –ed imitatissima dai numerosi cosiddetti “caravaggisti”– verso un naturalismo (da non confondere ovviamente con il naturalismo ottocentesco) che restituisca il senso immediato, brutale e concreto della vita reale.

 

Di conseguenza in Caravaggio perfino i soggetti e gli episodi biblici più convenzionali o stereotipati si caricano di una palpitante (e spesso disdicevole o censurata) intensità vitale, assumendo talvolta le sembianze di prostitute, ragazzi di vita (il cui fascino efebico ed esplicitamente omosessuale rappresenta un ulteriore indizio di modernità) o popolani di varia tipologia, come San Pietro, non di rado ritratto come un rozzo pescatore dalle grandi dita tozze.

 

 

 

 

 

Da Artemisia Gentileschi a Georges de la Tour: non solo epigoni, ma anche autentici fuoriclasse

 

Come emerge inequivocabilmente da “Beyond Caravaggio”, il cosiddetto caravaggismo, che ebbe una rilevante estensione non solo territoriale ma anche stilistica, coinvolgendo artisti dei più disparati orientamenti, non si tradusse in una sequela di pedisseque imitazioni, poiché gli aspiranti emuli del maestro non si limitarono ad una sterile copiatura ma seppero, nella maggioranza dei casi, personalizzare ed enfatizzare singoli aspetti del suo mondo pittorico.

 

Da Valentin de Boulogne a Jusepe de Ribera (artista spagnolo di casa nel Regno di Napoli, dove Caravaggio si recò per due volte), da Gerrit van Honthorst a Bartolomeo Manfredi, la mostra raccoglie e condensa i molteplici diversi rivoli europei del caravaggismo, tra i quali non si poteva evidentemente tralasciare il musico dipinto da quel Cecco del Caravaggio che si afferma sia stato addirittura l’amante del Merisi.

 

E tra i fuoriclasse più noti al grande pubblico sono doverosamente rappresentati i “caravaggisti” Artemisia Gentileschi (1593-1653), presente col celebre dipinto di “Susanna e i vecchioni”, e il non meno portentoso Georges de la Tour (1593-1652). Colpisce come in entrambi questi ultimi due casi la lezione caravaggesca sia stata declinata in una forma del tutto peculiare, ovvero come sottolineatura della fragilità umana e di quell’aura delicatamente misteriosa che avvolge ogni individualità, quasi che queste tele riverberassero la passione bruciante del maestro come l’intimo e prezioso calore di una fiamma lontana.

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