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La discussione alla Camera sulla modifica di legge delle aree marine protette potrebbe favorire le compagnie petrolifere nella proroga delle concessioni di trivellazione.
Un emendamento che potrebbe rappresentare una reale minaccia per le aree marine di rilevanza ambientale è stato introdotto la scorsa settimana in occasione della discussione alla Camera sull’esame della proposta di legge in tema di aree protette.
La legge in questione è quella del 6 dicembre 1991, n. 394 e ulteriori disposizioni in materia di aree protette. La minaccia, invece. è rappresentata dalle trivelle che rischiano di rimanere nelle acque territoriali senza limiti di tempo.
Secondo quanto afferma il comitato No Triv l’articolo della legge nasce per vietare le trivellazioni nelle aree protette, ma di fatto ha l’effetto opposto a causa dell’aggiunta di alcune parole quali “fatte salve le attività in corso e quelle strettamente conseguenti” che, senza indicare un limite di tempo, consentono alle compagnie petrolifere di proseguire nelle loro attività estrattive entro le 12 miglia a tempo indeterminato.
“L’emendamento approvato non è di per sé sbagliato: lo scopo è quello di vietare le attività di ricerca e di estrazione degli idrocarburi nei parchi, non già di consentirle. Le attività ‘strettamente conseguenti’ di cui si parla nell’emendamento non possono essere le attività di prospezione e di ricerca per la semplice ragione che, come chiunque intende, trattasi di attività ‘conseguenti’ all’estrazione, mentre la prospezione e la ricerca sono attività che precedono l’estrazione stessa. Il problema è un altro: occorreva precisare che le attività in corso non potessero essere prorogate: è questo che, semmai, rende irragionevole la norma e cioè non conforme al nobile obiettivo di tutelare parchi e aree” ha spiegato Enzo di Salvatore, Professore associato di Diritto costituzionale presso Università degli Studi di Teramo, e co-fondatore del Movimento No Triv.
Legge aree protette a parte, rimane sempre la questione critica delle 12 miglia e il labile confine di cosa prevede la legge e le varie interpretazioni. Il 3 aprile scorso è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il decreto ministeriale n. 78 del 3 aprile 2017, relativo al rilascio e l’esercizio dei titoli minerari per la prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi in terraferma, nel mare territoriale e nella piattaforma continentale. A seguito della pubblicazione è stata presentata una mozione parlamentare per limitare le trivellazioni nelle acque territoriali, vale a dire entro le 12 miglia. L’iniziativa nasce da una proposta del Coordinamento Nazionale No Triv, in collaborazione con Associazione A Sud e Green Italia e punta a impedire che il Decreto del Ministro permetta la costruzione di nuove piattaforme e pozzi situati entro le 12 miglia marine dalle coste italiane. Il decreto, infatti, prevede per chi ha già la concessione di poter modificare i progetti presentati e ricevere così l’autorizzazione a nuove attività, sempre nell’ambito della stessa concessione già rilasciata. Il rischio è che le società petrolifere possano tranquillamente aumentare le attività estrattive entro le 12 miglia. Secondo le associazioni il testo, oltre a eludere il sostanziale divieto di trivellazioni in prossimità della costa, presenta due altri pesanti profili di criticità: la possibilità di promuovere attività estrattive nell’area del Golfo di Venezia e il sostanziale svilimento delle prerogative costituzionali delle Regioni nell’iter di rilascio delle Concessioni.
Intanto la Corte costituzionale, con sentenza n. 114/2017, ha chiarito che l’espressione “durata di vita utile del giacimento”, contenuta nell’art. 6, comma 17, del Codice dell’ambiente, riguarda solo le concessioni per l’estrazione di idrocarburi liquidi e gassosi entro le 12 miglia e non anche i permessi di ricerca. In altre parole, tutti i permessi di ricerca, variamente denominati, che oggi insistono entro le 12 miglia marine, non rientrano nelle condizioni previste dalla legge. Questo significa che i permessi per tutte le attività di ricerca nelle acque territoriali possono essere revocati. Ad oggi i permessi di ricerca sono 24 e sono suddivisi in sei zone: Alto adriatico (9 permessi di ricerca), Zona B medio adriatico (6 permessi), Zona C Canale di Sicilia (4 permessi), Zona D mare Adriatico e Ionio (4 permessi), Zona F sempre mare Adriatico e Ionio (5 permessi) e Zona F, situata ancora nel Canale di Sicilia dove si trovano 3 permessi di ricerca.
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