Numerosi dati indicano che la transizione energetica in Italia sta rallentando.
Nel 2023 le fonti pulite hanno coperto il 19,7 per cento dei consumi finali di energia in Italia.
Il Piano nazionale integrato per l’energia e il clima prevede di raggiungere il 39,4 per cento entro il 2030.
La transizione energetica in Italia negli ultimi anni sta segnando il passo. Dopo aver viaggiato a ritmi ragionevoli fino alla pandemia, i dati del Gse (Gestore servizi elettrici, l’azienda pubblica che si occupa di sviluppare le fonti rinnovabili e l’efficienza energetica) degli ultimi anni appaiono decisamente meno positivi.
L’obiettivo è il 39,4 per cento dei consumi finali coperti dalle rinnovabili entro il 2030
Le cifre relative al 2023 indicano infatti che la quota di consumi finali di energia coperta dalle fonti pulite (calcolata secondo le metodologie fissate dall’Unione europea) è stata pari al 19,7 per cento. Un valore in aumento di soltanto mezzo punto percentuale rispetto al 19,2 per cento dell’anno precedente. Se si tiene conto del fatto che l’obiettivo fissato dal nostro paese nel Piano nazionale integrato per l’energia e il clima, inviato alla Commissione di Bruxelles nel luglio dello scorso anno, è di raggiungere il 39,4 per cento entro il 2030, si comprende facilmente come la strada appaia ora decisamente in salita.
Per quanto riguarda specificatamente i consumi di energia elettrica, il dato rilevato dal Gse per il 2023 indica che il 38,1 per cento è provenuto da fonti rinnovabili. Anche in questo caso l’aumento rispetto all’anno precedente appare troppo esiguo (soltanto un punto percentuale): occorrerà accelerare se si vorrà raggiungere il target fissato. Ovvero il 63,4 per cento, entro la fine del decennio.
Allo stesso modo, nel settore dei trasporti, la quota coperta da eolico, idroelettrico e solare è stata pari al 10,3 per cento nel 2023 (+0,3 per cento rispetto al 2022). Mentre il target fissato dall’Italia è del 34,2 per cento, sempre entro il 2030.
Legambiente: “Italia bocciata, si rischiano otto anni di ritardo”
Il rallentamento degli ultimi anni rischia dunque di compromettere l’obiettivo di fine decennio. Non a caso, nel report “Scacco matto alle rinnovabili 2025”, Legambiente ha parlato di “Italia bocciata rispetto al raggiungimento dell’obiettivo al 2030 sullo sviluppo delle rinnovabili fissato dal decreto “Aree idonee”: rischia di raggiungere gli 80.001 megawatt (MW) con otto anni di ritardo, ossia nel 2038”.
Una dinamica che appare sorprendente anche per via degli impatti che i cambiamenti climatici stanno imponendo sul nostro territorio, e che dovrebbero spingere i decisori politici ad agire: “Abbiamo registrato 2.098 eventi meteo estremi dal 2015 a oggi, di cui 753 allagamenti e 522 danni da raffiche di vento e trombe d’aria, con 1.137 comuni colpiti”, ricorda la stessa associazione ecologista. Il rapporto precisa che “nonostante i risultati parziali e positivi di questi ultimi anni – con 17.717 MW di rinnovabili installati dal 2021 al 2024 (una media annuale di 4.429 MW) – l’Italia rischia di non rispettare l’obiettivo fissato al 2030”.
Completato solo il 22 per cento del lavoro sulla transizione energetica, cinque regioni in grave ritardo
I dati, in effetti, indicano che abbiamo completato appena il 22 per cento del totale sul quale ci siamo impegnati. Occorrono oltre 62mila MW da realizzare in soli sei anni. A livello geografico, le regioni più indietro sono Valle d’Aosta, Molise, Calabria, Sardegna e Umbria: di questo passo avranno bisogno di più di 20 anni (nel caso della Valle d’Aosta, la peggiore, addirittura 45) per centrare i loro obiettivi fissati dal decreto Aree idonee.
Al contrario, l’unica regione italiana che, se manterrà la media degli ultimi quattro anni, riuscirà a raggiungere il target prefissato è il Lazio, che risulta al 40 per cento del cammino. Sempre in ritardo, ma contenuto a “soli” due anni, il Friuli-Venezia Giulia e il Trentino-Alto Adige.
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“L’Italia è in colpevole ritardo sugli obiettivi di sviluppo delle rinnovabili da raggiungere al 2030 – dichiara Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente – I principali ostacoli non tecnologici sono gli iter autorizzativi lenti, per l’ostracismo del ministero della Cultura e l’inazione delle Regioni, i decreti ministeriali sbagliati e ideologici e le politiche miopi del governo Meloni, che non fa altro che rendere la Penisola ancora più dipendente dagli speculatori del gas, puntando anche sul ritorno del nucleare, opzione energetica sconfitta dal libero mercato, a causa dei suoi costi esorbitanti”.
L’Italia rischia di mancare anche l’obiettivo di riduzione delle emissioni di CO2
Il ritmo troppo blando di sviluppo delle rinnovabili, e dunque della transizione energetica, si riverbera anche su un altro dato: quello delle emissioni di gas ad effetto serra dell’Italia. Secondo i dati dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra), relativi al 2024, pubblicati nel report “Le emissioni di gas serra in Italia: obiettivi di riduzione e scenari emissivi”, il rischio concreto è di mancare l’obiettivo previsto al 2030. Ovvero diminuire il totale delle emissioni del 43,7 per cento, al fine di rimare in linea con l’Accordo di Parigi e il pacchetto “Fit for 55” europeo.
Le emissioni italiane, infatti, sono scese soltanto del 26,4 per cento dal 1990 al 2023. E l’obiettivo attuale del -43,7 per cento va calcolato rispetto al livello del 2005 (quando cioè si era già prodotto un primo calo). Occorre, insomma, fare molto di più se si vorrà che l’Italia possa dire di aver fatto la propria parte nella lotta globale contro il riscaldamento climatico e i suoi impatti.
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