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Intermediari e datori di lavoro rischieranno 8 anni di carcere, per le vittime un fondo di indennizzo e un piano di reinserimento in aziende virtuose.
Sono circa 400 mila gli stagionali, sia italiani che stranieri, costretti a lavorare nei campi in condizioni di sfruttamento economico: una cifra che è cresciuta in maniera esponenziale negli ultimi dieci anni, anche per via dell’accresciuto afflusso di migranti disposti a prestare la propria manodopera anche a bassissimo costo, e che ha convinto il parlamento italiano a intervenire approvando la prima legge contro il caporalato, ovvero appunto il fenomeno dello sfruttamento lavorativo, prevalentemente in agricoltura, diffuso ormai non solo al Sud ma in tutta Italia. Era almeno dal 2010, con quella passata alle cronache come ‘la rivolta dei braccianti di Rosarno’ che il settore agricolo attendeva una legge sul caporalato.
La nuova legge si divide sostanzialmente in due parti: una che inasprisce le pene per lo sfruttamento del lavoratore, riscrivendo il reato stesso di caporalato (il caporale è “chi recluta manodopera per impiegarla presso terzi in condizioni di sfruttamento, approfittando dello stato di bisogno” prescindendo da comportamenti violenti, minacciosi o intimidatori) e rendendo punibile anche il datore di lavoro, oltre all’intermediario tra questi e il bracciante; l’altra che si occupa della tutela delle vittime. Per quanto riguarda il primo punto, sia l’intermediario che il datore di lavoro rischiano adesso fino a 8 anni di carcere, oltre a pesanti multe (fino a duemila euro per ogni lavoratore ‘schiavo’) e confische di mezzi, beni o terreni agricoli. I proventi delle confische andranno poi a confluire in un fondo speciale, detto anti-tratta, di indennizzo delle vittime, mentre i lavoratori stagionali verranno assistiti da un piano che si occuperà della loro sistemazione logistica e di supporto nella ricerca di un rapporto di lavoro equo. Ricerca che servirà a mettere in contatto i lavoratori con le aziende agricole più virtuose, quelle iscritte alla rete del lavoro agricolo di qualità, una sorta di albo di certificazione delle imprese che non hanno precedenti penali, sanzioni amministrative e che applicano il contratto di lavoro nazionale.
Per il ministro delle Politiche agricole Maurizio Martina “finalmente abbiamo una legge importante per la dignità dei lavoratori e per la tutela delle tantissime aziende agricole che lavorano nel rispetto delle regole”. Naturalmente non vi sono dati ufficiali sull’impatto del caporalato, ma le stime dell’Istat di qualche giorno fa sulle economie sommerse ha già messo in evidenza quanto forte sia l’impatto del lavoro nero sull’economia nazionale: inoltre, gli oltre 4mila controlli effettuati dalle direzioni territoriali del lavoro nel periodo gennaio-settembre 2015, hanno portato alla luce l’irregolarità di circa metà delle imprese interessate, con 2.360 rapporti di lavoro irregolari di cui 1.801 sono risultati in nero (circa il 76 per cento), mentre i casi di caporalato ammontavano a 290.
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