Chi è Marwan Barghouti, il “Mandela” palestinese che potrebbe dialogare con Israele

Il nome di Marwan Barghouti, leader della seconda Intifada, in carcere dal 2002 e definito “il Mandela palestinese”, potrebbe essere quello della pace?

  • Tra Hamas e Israele, si fa sempre più spazio il nome di Marwan Barghouti: è lui l’uomo del dialogo?
  • Barghouti, dopo aver partecipato a prima e seconda Intifada, è in carcere dal 2002, condannato a 5 ergastoli.
  • Nonostante questo, è definito il “Mandela palestinese” perché propugna soluzioni non violente.

Il direttore dell’Istituto francese per le ricerche e gli studi sul Medio Oriente Mediterraneo (iReMMO) Jean-Paul Chagnollaud, lo ha detto chiaramente, nei giorni scorsi, parlando di Palestina: “In ogni crisi interna o in ogni crisi con Israele, il suo nome riappare”. Il nome è quello di Marwan Barghouti, il detenuto palestinese più famoso, politico ed ex militante, uno dei leader più considerati della resistenza contro l’occupazione israeliana.

E dal 7 ottobre in poi, dopo i brutali attentati di Hamas sfociati nella sanguinaria risposta di Israele a Gaza, effettivamente il suo nome è tornato nuovamente sulla bocca di molti. Perché? Perché, nonostante Barghouti giaccia in galera ormai dal 2002, è tuttora considerato come il più credibile, tra i leader palestinesi, per guidare un processo di pace che porti alla soluzione dei “due popoli, due Stati”. Non i terroristi di Hamas, non il debole Abu Mazen, attuale leader dell’Autorità nazionale palestinese: lui, Marwan Barghouti. Al punto che la prigione, la sua leadership, le speranze in lui riposte hanno fatto sì che Barghouti, ormai da anni, sia soprannominato “il Nelson Mandela palestinese”.

Non poca cosa per una terra che ospita, nella città di Ramallah, in Cisgiordania, una statua alta sei metri del vero Mandela, il leader sudafricano che ha guidato il processo verso la fine del regime di apartheid donato dal Sudafrica stesso nel 2016 dal sindaco di Johannesburg, Parks Tau, “con la speranza che il popolo palestinese ottenga la sua libertà e la sua indipendenza, così come il popolo del Sudafrica ha ottenuto la liberazione dall’apartheid e dal razzismo”.

Chi è davvero Marwan Barghouti

Marwan Barghouti è stato arrestato nel 2002 dalle forze israeliane, e condannato due anni più tardi a cinque ergastoli per il suo coinvolgimento in diversi attacchi contro obiettivi militari e civili israeliani. Da allora, è detenuto in una prigione di massima sicurezza in Israele, dove continua però a esercitare la sua influenza politica e a lanciare appelli per la liberazione della Palestina.

Barghouti è nato nel 1959 proprio in un villaggio vicino a Ramallah, si è unito al movimento nazionalista Fatah all’età di 15 anni e ha partecipato alla prima intifada, la rivolta popolare contro l’occupazione israeliana, nel 1987. È stato arrestato e deportato in Giordania, ma è tornato in Palestina dopo la firma degli accordi di Oslo nel 1994, che prevedevano la creazione di un’entità palestinese autonoma. Barghouti è stato eletto nel Consiglio legislativo palestinese nel 1996 e ha sostenuto il processo di pace con Israele, pur criticando le sue violazioni dei diritti umani e la continua espansione delle colonie.

La seconda Intifada

Nel 2000, con lo scoppio della seconda intifada, Barghuthi ha assunto un ruolo più militante, diventando il capo del Tanzim, il braccio armato di Fatah, e il fondatore delle Brigate dei Martiri di al-Aqsa, un gruppo che ha rivendicato numerosi attentati suicidi contro Israele. Barghuthi ha dichiarato di aver agito in difesa del suo popolo e di aver mirato solo a obiettivi militari, ma Israele lo ha accusato di essere il mandante di almeno 26 attacchi che hanno causato la morte di 21 civili e 5 soldati israeliani. Nel 2002, Barghouti è stato catturato in un’operazione israeliana a Ramallah e processato da un tribunale militare, che lo ha riconosciuto colpevole di cinque omicidi e di appartenenza a un’organizzazione terroristica. Barghouti ha respinto le accuse e ha rifiutato di riconoscere la legittimità del tribunale, definendosi “un prigioniero politico e un combattente per la libertà”.

Marwan Barghouti nel 2003, ricondotto in prigione dopo una udienza in tribunale
Marwan Barghouti nel 2003, ricondotto in prigione dopo una udienza in tribunale © TAL COHEN/AFP via Getty Images

Nonostante la sua detenzione, e forse anche in ragione di essa, è rimasto una figura popolare e carismatica tra i palestinesi, che lo vedono come un simbolo della loro lotta e come un potenziale leader in grado di unire le diverse fazioni politiche. Barghouti ha mantenuto i suoi contatti con il mondo esterno attraverso lettere, interviste e messaggi, in cui ha espresso le sue posizioni politiche e le sue proposte per una soluzione del conflitto. Mustafa Barghouti, suo parente, medico e politico, è anch’egli tra le personalità più ascoltate in Palestina, così come la moglie di Marwan, Fadwa.

Cosa più importante, in questi anni dal carcere Barghouti ha sostenuto la necessità di una resistenza popolare non violenta contro l’occupazione israeliana, basata su manifestazioni, scioperi, boicottaggi e disobbedienza civile. Ha anche chiesto la fine della divisione tra Fatah e Hamas, i due principali partiti palestinesi, e la formazione di un governo di unità nazionale. Inoltre, ha ribadito il suo sostegno alla soluzione dei due Stati, basata sui confini del 1967 e con Gerusalemme Est come capitale della Palestina, e invitato la comunità internazionale a riconoscere lo Stato palestinese e a esercitare pressioni su Israele per porre fine all’occupazione e alla colonizzazione.

Il paragone con Mandela

La parabola militante e politica di Barghouti è stata spesso paragonata a quella di Nelson Mandela, il leader sudafricano che ha guidato la lotta contro l’apartheid e che ha trascorso 27 anni in prigione prima di diventare il primo presidente nero del suo paese. Il suo legame con il Sudafrica è così forte che il premio Nobel per la pace Desmond Tutu, anche lui sudafricano, nel 2016, appoggiò pubblicamente la campagna per candidarlo proprio al Nobel (e lo stesso fece perfino il Parlamento del Belgio!) lanciata da associazioni palestinesi per i diritti umani e leader politici della Cisgiordania, tra cui la Palestinian commission for prisoners, il Palestinian prisoners club ed il Palestinian legislative council.

Il motivo del paragone è che Barghouti, come Mandela, è visto come un leader capace di incarnare le aspirazioni del suo popolo, di resistere alla repressione del suo oppressore e di promuovere una visione di pace e riconciliazione basata sulla giustizia e sul rispetto dei diritti umani. Tutto il mondo arabo, e non solo la Palestina, ne chiede da anni la liberazione affinché possa partecipare a un processo di negoziazione che porti alla fine del conflitto e alla convivenza tra i due popoli. Solo pochi giorni fa, alla Camera dei deputati italiana per lanciare un appello per la liberazione del leader curdo Abdullah Öcalan, Yilmaz Orkan, responsabile dell’Ufficio informazione Kurdistan in Italia, ha tracciato un parallelismo proprio tra i due leader incarcerati e Mandela: “Il loro destino finale è quello di essere liberati, come è successo a Mandela, perché si tratta di uomini di pace, non nazionalisti, che cercano una via pacifica, la strada della convivenza. Sono sicuro che se verrà liberato potrà giocare un ruolo importante”.

Naturalmente, il paragone tra Barghouti e Mandela è stato contestato largamente dagli israeliani, che lo ritengono un terrorista alla stregua dei militanti di Hamas anziché un eroe. E che sottolineano come le sue azioni non siano paragonabili a quelle di Mandela, che ha sempre condannato la violenza contro i civili e ha cercato il dialogo con i suoi avversari. Inoltre, alcuni sostengono che il conflitto tra Israele e Palestina non sia assimilabile a quello tra il regime razzista dell’apartheid e il movimento di liberazione nazionale sudafricano, e che le soluzioni proposte da Barghuthi non siano realistiche o accettabili per Israele. Al momento per esempio, l’idea dei due Stati per due popoli con i confini del 1967 sembra assai lontana. Sicuramente però il suo nome torna sempre a galla in situazioni di crisi, come spiegava Chagnollaud, perché si tratta del più credibile per un dialogo che, a detta di tutti gli osservatori, non può ovviamente contemplare Hamas, ma neanche l’attuale leader dell’Autorità nazionale palestinese, Abu Mazen, il cui consenso popolare è ridotto ormai al lumicino.

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