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Mucca pazza in Giappone: il capo di un’azienda di prosciutti fa harakiri. E si parla di una responsabilità italiana.
Harakiri come nella più antica tradizione nipponica. Il
protagonista? Il presidente di una rinomata casa di prosciutti
coinvolto nello scandalo della mucca pazza giapponese. Si chiamava
Sadao Takizawa. La sua azienda era sull’orlo del fallimento, causa
crollo dei consumi di carne. Non ha retto all’onta. Si è
gettato da un ponte nei pressi di Tochigi.
Lo scandalo ormai investe tutta la società giapponese, dopo
l’individuazione delle prime quattro mucche allevate in Giappone
colpite dal prione della ‘mucca pazza’. La tv commerciale Asahi
ieri ha trasmesso un servizio pieno di accuse al ministero
dell’agricoltura per “essere il colpevole, di fatto, della
diffusione della Bse” nel primo paese al mondo fuori dell’Europa,
con “menzogne alla popolazione e alla comunità
internazionale”, continuate anche dopo la scoperta del primo caso
di mucca malata il 10 settembre scorso. “Sono state compiute grandi
mistificazioni – ha confessato ieri alla Tv Asahi un ex funzionario
del ministero dell’agricoltura -, l’uso delle farine in Giappone
era generalizzato e queste erano presenti, sia pure in piccole
quantità in tutti i mangimi”.
L’amministrazione giapponese, incalza la TV, sapeva da anni del
pericolo e, secondo le accuse, non avrebbe fatto a per impedire la
diffusione di della Bse.
Cioè, le autorità di Tokyo qualcosa hanno fatto.
Hanno scaricato la cosa sull’Italia.
Proprio così. Il giornale “Mainichi” il 14 febbraio scorso
titolava in prima pagina “Forse trovata la sorgente di
contaminazione della BSE in Giappone: farine animali acquistate nel
giugno 1998 dall’Italia”.
Eppure le farine di importazione sono state bandite dal 1997,
comprese quelle italiane. Da quella data in poi, in Giappone si
è continuato ad usarle. Da dove provenivano? Dal Giappone,
evidentemente. Moltissimi allevatori le hanno usate e continuano a
farlo. Cosa che si sta rivelando uno sconsiderato harakiri
commerciale.
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