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Quando un amore finisce, anche gli oggetti più banali possono diventare ricordi dolorosi. A Zagabria, il Museo delle relazioni interrotte racconta le loro storie.
Un ritratto di noi due fatto da uno sconosciuto, un barattolo di cetriolini mai recapitato causa ghosting, il tostapane “della vendetta”. Sono alcuni degli oltre quattromila cimeli conservati al Museo delle relazioni interrotte di Zagabria, in Croazia, fondato ufficialmente nel 2010 da una coppia “scoppiata” in risposta a una domanda che quasi tutti ci siamo posti: che farsene dei ricordi dell’ex? Tra l’incudine del falò catartico e il martello dell’altarino votivo, l’idea della produttrice cinematografica Olinka Vištica e dello scultore Dražen Grubišić vince a mani basse. Donare il proprio oggetto al museo, accompagnato da una breve descrizione, è un gesto di auto-aiuto e, allo stesso tempo, alimenta la storia emotiva collettiva narrata nel museo sociologico.
“Io e Olinka siamo stati insieme per quattro anni. Avevamo un piccolo coniglio, di quelli a carica che saltellano. Siccome viaggiavo molto, lo portavo con me e gli scattavo le foto davanti alla Torre Eiffel o agli altri monumenti: era la nostra gag” racconta Dražen. “Quando ci siamo lasciati, ci siamo chiesti “chi terrà il coniglio?”, e la tristezza ci ha travolti. Ci siamo chiesti se non ci fosse un modo più creativo per dargli una nuova vita. Abbiamo cominciato a fare delle ricerche e tutto quello che trovavamo all’epoca erano riviste femminili che incitavano a incenerire i ricordi dell’ex. Lo trovavamo barbarico. Davvero intendete distruggere tutte le vostre memorie? Forse tra dieci anni vorrete qualcosa che vi rammenti quella relazione. Così è nata l’idea di un’alternativa: il museo”.
Costruire sulle macerie, dare valore alla propria esperienza e farla fiorire insieme a quella di centinaia di estranei, molto lontani e incredibilmente vicini. Il progetto è partito in sordina e ha spiccato il volo: dalla prima esposizione di oggetti e storie nella gipsoteca di Zagabria del 2006 alla mostra itinerante in paesi come Argentina, Bosnia-Erzegovina, Germania, Macedonia, Filippine, Serbia, Singapore, Slovenia, Sud Africa, Turchia, Regno Unito e Stati Uniti. “Era solo una piccola mostra, non pensavamo di farne un museo. Poi l’idea ha preso vita propria e abbiamo seguito il flusso” spiega Dražen.
Nel 2010 la ex coppia ha affittato uno spazio nel centro di Zagabria e ha istituito ufficialmente il Museum of broken relationships, vincitore nel 2011 del premio Kenneth Hudson per il museo più innovativo d’Europa.
Negli anni, i due hanno raccolto di tutto, incontrando personalmente i donatori o scartando pacchi provenienti dall’altra parte del globo. Il preferito di Dražen? Impossibile rispondere, perché “le storie risuonano in modo diverso in base alla tua esperienza passata e al momento della vita in cui ti trovi”.
Eppure, tra gli oltre quattromila oggetti anonimi, completi di data e luogo della relazione, che ad oggi fanno parte della collezione, il tostapane della vendetta gli strappa sempre un sorriso. Due si lasciano, lei se ne va di casa e gira gli Stati Uniti insieme all’amato tostapane di lui: “Adesso voglio vedere come farai a tostare le cose!”, recita la didascalia che accompagna l’elettrodomestico donato al museo.
Testimonianze materiali di scaramucce sentimentali come questa non sono rare nelle otto sezioni che scandiscono l’esposizione, ma c’è dell’altro: una stanza dedicata alla guerra, una intitolata “Body of evidence” (corpo del reato) che espone oggetti come ciocche di capelli e simili, e una “family room”: “In questa stanza c’è una storia adorabile che arriva da Tokyo: durante un pic nic una famigliola ha registrato un audio, i bambini cantano, la mamma e il papà chiacchierano. Dopo che il padre è morto, la madre non ha più voluto ascoltarlo per paura di cancellare inavvertitamente la registrazione. Insieme alla figlia hanno deciso di donarlo al museo, e ora tutti lo possono sentire”.
Il concetto di relazione per i curatori della mostra è inclusivo e contempla rotture di ogni tipo. Con un credo religioso, con uno stato, persino con il cibo, per citarne alcune: “Non c’è niente di più triste per un amante della pizza di scoprirsi intollerante al glutine!”, scherza Dražen. Qui non contano età, identità di genere, luogo di provenienza, ma solo le esperienze di vita e i sentimenti provati.
Battute a parte, i postumi di una separazione possono essere devastanti. La maggior parte delle persone riesce a superarli, non senza difficoltà. È dimostrato, ad esempio, che la fine di una relazione romantica possa indurre insonnia, pensieri ossessivi e persino un abbassamento delle difese immunitarie. Al netto di chi si sente sollevato dopo l’addio, in genere anche i cuori che si piegano ma non si spezzano necessitano di tempo per elaborare l’accaduto e digerire quello che sovente viene vissuto come un fallimento. In questo senso, fare i conti con i simulacri della sconfitta (regali, ricordi, chat) è un passo importante: “Riceviamo tantissime lettere di ringraziamento in cui le persone ci dicono che la donazione al museo le ha aiutate”, spiega Dražen. Questione di rituali, sostiene: c’è n’è uno per la morte, per la nascita, per l’ingresso in una casa nuova. E per quando rompi con la persona amata? Niente.
“Quando decidi di donare un oggetto al museo, devi sceglierlo, ricordarti dove si trova, recuperarlo e affrontarlo, magari dopo tanto tempo che non lo vedi. Ti devi sedere e devi scrivere la tua storia su un pezzo di carta. Come ti direbbe qualsiasi psicologo: siediti e scrivi. Dopo che hai fatto tutto questo, lo metti in una scatola e lo spedisci”.
Donare un oggetto non vuol dire solo liberarsene o tagliare i ponti col passato, ma aprire spazi di empatia con la condivisione. Il processo della donazione come rito di passaggio per alleggerire il carico emotivo e aprirsi a una nuova fase della vita, la scrittura come strumento per promuovere emozioni positive dopo il collasso. E, non ultima, la catarsi della visita al museo, dove scoprirsi più umani e meno soli.
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