
Ha dato il via ai concerti ad alta quota ben 28 anni fa distinguendosi sin dall’inizio per il rispetto delle terre alte. Sancito anche da un manifesto.
Tra il 2018 e il 2021, la musica italiana all’estero ha registrato una crescita del +7,6 per cento sui ricavi del diritto d’autore. Grazie a Måneskin, ma non solo.
Tra il 2018 e il 2021 la musica italiana all’estero ha spiccato il volo registrando una crescita del 7,6 per cento sul fatturato proveniente dal diritto d’autore. Dopo e nonostante gli anni bui anche per la musica a causa della pandemia di Covid-19, questo è il dato confortante che emerge dal primo report sulla musica italiana all’estero presentato da Siae e Italia music export, il primo ufficio italiano che supporta la diffusione della musica italiana oltre i confini nazionali. Secondo il report, la crescita a livello internazionale si è confermata anche nel primo semestre del 2022.
A trainare l’industria discografica italiana nel mondo sono stati loro: i Måneskin. La band romana, dopo la vittoria del Festival di Sanremo e dell’Eurovision song contest di Rotterdam, ha collezionato all’estero più record in assoluto di qualsiasi altro artista italiano: prima band italiana nella storia degli Mtv video music awards 2022 a vincere un premio per il miglior video alternativo con la canzone I wanna be your slave; primi italiani ad aprire i concerti dei Rolling Stones all’estero; prima band italiana della storia con due singoli contemporaneamente nella top ten britannica (con Beggin’ e I wanna be your slave). E Rush!, il loro ultimo album pubblicato il 20 gennaio scorso, è già al primo posto delle classifiche, oltre che in Italia, in Francia, Giappone (chart internazionale), Belgio, Paesi Bassi, Svizzera e Lituania ed è nella top ten di dieci paesi, fra cui il Regno Unito, Germania, Finlandia e molti altri.
Nel 2021 sono proprio loro a posizionarsi al primo posto tra gli autori italiani più ascoltati sulle piattaforme streaming europee (I wanna be your slave e Zitti e buoni sono le canzoni più ascoltate online in Europa e I wanna be your slave è prima a livello globale), ma anche alla guida della classifica degli autori italiani più performanti a livello globale e degli autori under 35 più ascoltati al mondo.
Se i Måneskin dominano le classifiche di tutto il mondo, non sono i soli artisti italiani a convincere all’estero. Al loro fianco troviamo diversi altri artisti, tra pietre miliari e una nuova generazione di artisti, più o meno emergenti ma già famosi a livello nazionale che, come evidenziato dal report, “hanno saputo rinnovare con freschezza il percepito della musica italiana all’estero, pur senza perdere quel tocco di pittoresco che esiste e che rende un popolo tridimensionale”.
Tra gli artisti più ascoltati al mondo, subito dopo i Måneskin, al secondo posto troviamo gli Eiffel 65, vero e proprio cult dell’euro dance anni Novanta e da sempre apprezzatissimi all’estero, mentre il resto della classifica è dominata da colossi del cantautorato italiano e da nomi dalle carriere leggendarie: Eros Ramazzotti, Zucchero, Domenico Modugno, Paolo Conte, Lucio Dalla e Riccardo Cocciante. Anche tra i brani italiani più ascoltati all’estero nel 2021, oltre a Måneskin ed Eiffel 65, troviamo i grandi classici come Nel blu dipinto di blu di Domenico Modugno, Con te partirò di Andrea Bocelli e Tu vuo fa’ l’americano di Renato Carosone.
Ma se ci spostiamo in Europa, la situazione si fa decisamente più interessante e variegata, sia a livello generazionale che per genere musicale: oltre a qualche conferma (Måneskin, Eiffel 65, Eros Ramazzotti e Zucchero) in cima alla classifica degli autori più ascoltati troviamo anche artisti under 35 come Ultimo e Rocco Hunt e sorprese come Pasquale Di Fonzo che, sotto lo pseudonimo Funbeat, è autore di 1, 2, 3, 4, brano del 2012 riportato in auge da Tik Tok. Sempre in Europa, a essere apprezzati sono anche Dardust e Marco Sissa, produttore, autore, polistrumentista che, insieme a Gigi D’Agostino, ha riscosso un notevole successo con il brano dance Hollywood.
È necessario (…) riconoscere che (…) l’identità musicale italiana più apprezzata all’estero è anche e soprattutto quella sintetica ed elettronica.
Interessante è soprattutto la classifica che decreta gli autori under 35 più ascoltati al mondo: qui generi come l’elettronica, il rap e l’urban, dopo aver invaso le classifiche italiane, partono alla conquista anche di quelle straniere. Dopo i soliti Måneskin al primo posto e Ultimo al secondo, troviamo la musica elettro dance di Deep chills e Merk & Kremont, l’elettronica di Yakamoto Kotzuga, ma anche l’urban di Rocco Hunt, Zef, Thasup, Charlie Charles, Mahmood, Capo Plaza, Sfera Ebbasta, il pop rock di Michele Morrone e l’indie di Gazzelle e Carl Brave. Non solo, dunque, il bel canto italiano – quello per cui il nostro paese è e sempre continuerà a essere riconosciuto in tutto il mondo – ma anche nuovi generi diversi tra loro.
Ma, come mai dopo così tanti anni di stallo, la musica italiana ha ripreso la sua ascesa nelle classifiche estere? Secondo il report, ci sono vari fattori che hanno agevolato questa tendenza positiva. Prima di tutto, l’avvento degli streaming service e quello che Paolo Madeddu, nella sua analisi sulla rivoluzione della musica nostrana vista dalle chart contenuta all’interno del report, chiama quinquennio del rinnovamento: un periodo particolarmente fortunato per la musica italiana, partito nel 2017, anno in cui a vincere Sanremo è un artista, Francesco Gabbani, con un brano che si era discostato parecchio dallo standard musicale che aveva dominato fino a quel momento, ma soprattutto anno in cui lo streaming audio inizia a essere conteggiato nelle classifiche.
Ecco che, nel giro di pochi mesi, una nuova generazione di artisti e artiste finora lasciati fuori dalle classifiche ufficiali, ma a quanto pare seguitissimi sul web, riescono a invece a impadronirsene e, nel giro di pochi mesi, ricevono certificazioni e riconoscimenti mainstream: Sfera Ebbasta, Capo Plaza, Ghali, Izi, Tedua e, via via, molti altri fino ad arrivare ai più recenti Rkomi, Lazza, Ernia e Madame.
Altro fattore: la musica italiana ha incominciato a essere apprezzata prima di tutto dagli italiani e, di conseguenza, la sua percezione è cambiata anche all’estero. I dati dimostrano che musicalmente stiamo diventando sempre meno esterofili, al contrario di quanto succedeva negli anni Novanta, come ricordato anche da Carlo Pastore nel suo intervento all’interno del report: “Per decenni (…) il nostro Paese ha subito in maniera passiva l’aggressività dell’export musicale anglosassone, fino a maturare per molti aspetti una vera e propria esterofilia che si esprimeva nella forma di una feroce e costante autocritica alla musica prodotta nel nostro paese (…) C’è stato un periodo in cui, se eri giovane, fare musica italiana o cantata in italiano era da sfigati (…) La lingua italiana ha saputo ritagliarsi una dignità anche in contesti laddove prima faceva fatica, e anzi aprire varchi con la generazione Z e con parte dei millennials. Nelle loro playlist oggi è altamente probabile che troviate più musica italiana che internazionale”.
Ma c’è anche un altro importante fattore: l’industria musicale italiana sembra aver iniziato a crederci un po’ di più anche grazie all’impulso di contributi, anche economici, sistematizzati e strutture specifiche come Italia music export, nato proprio nel 2017 da un’idea di Siae per finanziare autori, editori ma anche etichette e management. Nel 2021 l’ufficio export è entrato a far parte di Italia music lab, un nuovo hub creato per fornire supporto sia all’interno del mercato locale che nel percorso di internazionalizzazione. In questi anni di attività, più di quattrocentocinquanta artisti e artiste e più di centottanta figure professionali hanno ricevuto sostegno economico per le loro attività all’estero, mentre più di quattrocento hanno ricevuto formazione e assistenza personalizzata sulle loro strategie di internazionalizzazione.
Così, come sottolineato da Gianni Sibilla nella prefazione al report: “L’Italia non è più percepita come quel paese capace di produrre solo alcuni generi musicali, che fuori dai confini possono funzionare esclusivamente in alcuni contesti culturalmente vicini”; mentre, secondo Nur Al Habash, direttrice operativa della Fondazione Italia music lab: “È necessario aggiornare (e in fretta) l’immagine di un’Italia musicale unicamente patria del bel canto e della canzone melodica, e riconoscere che dagli anni ‘70 dell’italo disco passando per i ‘90 dell’eurodance e i ’00 dell’edm, l’identità musicale italiana più apprezzata all’estero è anche e soprattutto quella sintetica ed elettronica. Sarebbe bello se, a partire dall’oggettività di questo dato, aziende e istituzioni si adoperassero per riconoscerla, celebrarla e, infine, potenziarla con il giusto supporto”.
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