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In un solo giorno l’esercito ha brutalmente ucciso più di cento manifestanti durante le proteste nel Myanmar, mirandoli anche “alla testa”.
Almeno 114 persone sono state uccise dai militari del Myanmar (ex Birmania) il 27 marzo 2021. Si tratta del peggior bilancio da quando sono cominciate le proteste in seguito al colpo di stato del primo febbraio che ha determinato l’arresto della leader di fatto del governo civile, Aung San Suu Kyi, e del presidente della Repubblica, Win Myint.
È quanto riporta il quotidiano Myanmar Now, secondo cui le stragi hanno coinvolto più di quaranta città. Fra le vittime ci sarebbero anche un bambino di 5 anni e una ragazzina di 13, mentre un bimbo di un anno è stato colpito all’occhio da un proiettile di gomma mentre stava giocando all’aperto.
Il massacro è avvenuto nella 76esima Giornata delle forze armate, celebrata in occasione dell’anniversario dell’insurrezione contro i giapponesi avviata il 27 marzo 1945. Mentre nella capitale Naypyitaw avevano luogo i festeggiamenti e il generale Min Aung Hlaing, capo della giunta che ha preso il potere dopo il golpe, annunciava che “i militari avrebbero protetto il popolo del Myanmar e lottato per la democrazia”, quegli stessi soldati uccidevano decine di manifestanti a sangue freddo, sparandogli anche “alla testa o alla schiena”, stando all’avvertimento lanciato il giorno prima dalla televisione statale.
I dimostranti, che hanno voluto trasformare l’anniversario nel “Giorno contro la dittatura militare”, chiedono la fine del regime, il ritorno a quella democrazia che il paese stava lentamente conquistando, la liberazione di Aung San Suu Kyi e di tutti gli altri prigionieri politici arrestati finora. Se fino a venerdì 26 marzo il bilancio delle vittime, stando ai dati dell’Assistance association for political prisoners (Aapp), era di 328 morti – un quarto dei quali freddati con un colpo alla testa –, dopo i tragici avvenimenti di sabato ha superato i 400.
L’ambasciata statunitense nel Myanmar ha confermato che anche il Centro americano di Yangon è stato preso d’assalto, ma nessuno è rimasto coinvolto nell’attacco. Le reazioni da parte della comunità internazionale non hanno tardato ad arrivare: l’ambasciatore del Regno Unito – ricordiamo che il Myanmar è un’ex colonia britannica – Dan Chugg ha dichiarato che l’esercito birmano “si è coperto di infamia”.
“Questa 76esima Giornata delle forze armate rimarrà impressa nelle menti di tutti come una giornata di terrore e disonore. L’uccisione di civili disarmati, compresi i bambini, è un atto indifendibile”, ha scritto sui suoi profili social l’ambasciata dell’Unione europea a Rangoon. Aspre critiche sono giunte anche dalle Nazioni Unite. Piero Fassino, già inviato Ue per il Myanmar, ha invitato la comunità internazionale ad agire: “Le parole non bastano più”.
Nel frattempo, il paese asiatico è costretto ad affrontare anche la pandemia, e nel suo caso la crisi sanitaria è aggravata proprio dalla tragica situazione politica. Molti medici e infermieri hanno aderito al movimento di disobbedienza civile, cosa che ha gravemente limitato l’erogazione dell’assistenza sanitaria. I soldati hanno occupato i principali ospedali pubblici; hanno attaccato gli operatori sanitari, compresi i soccorritori impegnati ad assistere i manifestanti feriti, e hanno persino rubato delle ambulanze. Il coprifuoco e la paura delle violenze, infine, hanno impedito a molti cittadini di recarsi nelle cliniche.
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