Nuovi ogm: cambia la tecnica ma restano in campo gli stessi problemi

Da tempo è in corso un tentativo di deregolamentare i nuovi ogm. Con l’esperto Gianni Tamino abbiamo parlato di rischi e soluzioni alternative.

Lo scorso maggio la Camera ha approvato alcune mozioni per chiedere al governo di adottare misure urgenti per fronteggiare le conseguenze della guerra in Ucraina, mozioni contenenti una possibile apertura ai nuovi ogm, identificati con il termine italiano Tea (tecnologie di evoluzione assistita) o con l’inglese Nbt (New breeding techniques). 

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Le piante ogm sono sviluppate per essere tolleranti ai diserbanti o resistenti ai parassiti per © iStock

La Coalizione Italia libera da ogm, promotrice di una petizione per fermare la deregolamentazione degli ogm in Europa, ha sottolineato che dare seguito a queste richieste andrebbe in senso contrario alla legislazione italiana, ma anche a quella europea che, facendo riferimento a una sentenza della Corte di giustizia europea, considera gli organismi ottenuti tramite le nuove tecniche di creazione varietale al pari degli ogm e quindi soggetti alle stesse leggi di valutazione preventiva del rischio, tracciabilità ed etichettatura

La Coalizione denuncia una mossa fatta con il pretesto della guerra “a vantaggio di poche imprese sementiere italiane e, soprattutto, delle multinazionali che dominano il mercato mondiale, già in possesso della quasi totalità dei brevetti necessari allo sviluppo dei nuovi ogm”.

Ma cosa sono i nuovi ogm e quali sono le problematiche associate alle tecniche per produrli? Ne abbiamo parlato con Gianni Tamino, già professore di Biologia all’Università di Padova e membro del Comitato Scientifico dell’Associazione medici per l’ambiente-Isde.

Professore, cosa sta succedendo?

Sono diversi anni che si tenta a livello europeo e italiano di “sdoganare” i nuovi ogm sottraendoli alle leggi in vigore per gli organismi geneticamente modificati. È vergognoso che  questo tentativo ora si stia facendo approfittando di situazioni drammatiche come la guerra e la pandemia. E questo non vale solo per gli ogm in agricoltura, ma anche per questioni legate ad altri settori come quello energetico.

Qual è la differenza tra vecchi e nuovi ogm?

I vecchi ogm sono organismi transgenici, ottenuti inserendo nel DNA di una specie geni estranei di un’altra specie, mentre i nuovi ogm, sono ottenuti con tecniche come la cisgenesi che utilizza geni di organismi della stessa specie o di specie affini che potrebbero incrociarsi naturalmente. L’inserimento del cisgene nel genoma avviene in modo casuale come nella transgenesi. C’è poi il metodo dell’editing genomico, come Crispr/Cas9, che consente invece di inserire il frammento di DNA in un punto specifico del genoma, ma che comunque utilizza di fatto geni “trans”.

Qual è il rischio associato ai nuovi ogm?

Lo stesso dei vecchi ogm. Con queste tecnologie si pensa, in modo riduzionista e determinista, di poter definire le caratteristiche di una specie inserendo un singolo gene. È una visione vecchia e semplicistica che considera ogni gene a sé stante, mentre il sistema vivente è un sistema complesso in cui ogni parte interagisce con le altre. Se è vero che le cellule di un organismo hanno lo stesso DNA, quindi gli stessi geni, non è altrettanto vero che si comportano allo stesso modo poiché geni che sono attivi in alcune cellule possono essere silenti in altre e attivarsi solo se stimolati, o secondo le esigenze dell’organismo. È il complesso delle interazioni che determina il funzionamento dei geni di un organismo, dunque inserendo o togliendo un gene si può alterare il funzionamento degli altri geni in un modo che non è prevedibile e quindi creando danni o effetti indesiderati. 

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I mangimi per gli animali d’allevamento contengono spesso mais ogm © iStock

Domanda provocatoria: gli effetti non sono prevedibili, ma non vuol dire che siano per forza negativi o dannosi…
Al momento non si può sapere con certezza se gli imprevisti generati da queste tecniche possano essere positivi o negativi: per questo, anche per i nuovi ogm, vale il principio di precauzione su cui si basa la legislazione europea riguardo agli organismi geneticamente modificati. In ogni caso, diversi studi hanno già evidenziato i rischi correlati a queste tecniche. Si è visto, ad esempio, che il DNA di alcuni bovini modificati per essere privi di corna contenevano due geni batterici per la resistenza agli antibiotici, mentre alcune piante geneticamente modificate per transgenesi potevano provocare allergie o intolleranze.

I sostenitori dei nuovi ogm dicono che questi organismi possono essere la risposta ai cambiamenti climatici e alla sicurezza alimentare…

Per quanto riguarda le piante per esempio, gli ogm esistenti sono generalmente di due tipi, tolleranti ai diserbanti o resistenti ai parassiti: le conseguenze sono state un aumento di piante divenute naturalmente resistenti a quei diserbanti e insetti per i quali la tossina prodotta dalla pianta transgenica risulta innocua, come naturale adattamento alla nuova situazione. Io credo che non si debbano cercare scorciatoie, ma utilizzare i “servizi” gratuiti che la natura ci offre, come per esempio gli uccelli o gli insetti che si nutrono di parassiti delle piante, per raggiungere gli stessi scopi.

Questo non vuol dire rifiutare le nuove tecnologie, ma percorrere altre strade. Esiste la selezione assistita da marcatori molecolari (Mas), un metodo che consente di identificare con tecniche molecolari marcatori associati ai geni di interesse, rendendo più rapido lo sviluppo di nuove varietà.

È possibile anche incrociare patrimoni genetici di specie affini mediante fusione di protoplasti per ottenere determinate caratteristiche come è avvenuto nel caso del New Rice for Africa, nato dall’unione del riso africano e di quello asiatico: si tratta di una coltura adatta al clima africano, ma con le proprietà di quella asiatica. È un procedimento simile a quello che anticamente ha dato vita al frumento, con la differenza che con questa tecnologia possiamo farlo più velocemente. 

Qual è allora la direzione da seguire per rispondere alle sfide agroambientali del futuro?

Bisogna ripartire da una visione dell’agricoltura come parte integrante degli ecosistemi, quindi dall’agroecologia. Il sistema agricolo va pensato in armonia con quello naturale, con rispetto degli equilibri tra le specie e della loro capacità di adattamento.

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