Comprendere l’epigenetica fornisce gli strumenti per restare in salute. Dall’alimentazione allo stile di vita, scopriamo come influire positivamente sul nostro patrimonio genetico.
Olio extravergine d’oliva, un naturale elisir di salute
Secondo la Fda statunitense, l’olio extravergine di oliva è un vero e proprio alimento-medicina. Per approfittare al meglio delle sue virtù, è fondamentale saperne riconoscere la qualità.
L’olio extravergine di oliva non è “soltanto” un alimento salutare, ma qualcosa di più: è un alimento medicinale a pieno titolo. Parola di Fda, la Food and drug administration, incaricata di regolamentare i prodotti alimentari e farmaceutici. L’ente statunitense d’ora in poi permetterà ai produttori di scrivere in etichetta che l’assunzione quotidiana di 20 grammi di olio extravergine (circa due cucchiai) apporta un’elevata quantità di acido oleico, che può ridurre il rischio di malattie coronariche. Numerose e comprovate evidenze scientifiche – precisa la Fda – dimostrano infatti che prediligere i condimenti con un elevato contenuto di acido oleico tiene a bada i livelli di colesterolo nel sangue.
Perché l’olio extravergine fa bene alla salute
Ma quali sono le caratteristiche che rendono così benefico l’olio extravergine? Michele Labarile, responsabile qualità di Monini, ci ricorda che ci sono due normative europee (il regolamento 1924/2006 e il regolamento 432/2012) che specificano con precisione quali indicazioni sulla salute si possono includere nell’etichetta dei prodotti. Per l’olio d’oliva, quelle consentite sono tre.
La prima, e la più celebre, è la presenza di polifenoli, efficaci antiossidanti naturali che proteggono le nostre cellule. Un olio con un elevato contenuto di polifenoli ha un gusto amaro e piccante, come quello che percepiamo quando mastichiamo un’oliva. La seconda è la quantità di acidi grassi insaturi e monoinsaturi, che nell’extravergine raggiungono un equilibrio ottimale. I secondi in particolare (che sono una peculiarità dell’olio d’oliva, a differenza dei primi che si trovano anche negli oli di semi) contribuiscono ad abbassare il colesterolo “cattivo” (LDL) senza intaccare quello “buono” (HDL) e inoltre permettono all’olio d’oliva una migliore conservazione. Il terzo claim nutrizionale è il contenuto di vitamina E, che nell’olio d’oliva è biodisponibile, cioè può essere assorbita facilmente dal nostro organismo.
“Questi sono gli aspetti assolutamente certi, condivisi dalla comunità scientifica, approvati dall’Efsa e che per tale motivo possono essere vantati in etichetta – commenta Labarile –. Ma molte altre sono le proprietà benefiche ascrivibili al consumo degli oli di oliva, e l’auspicio è che l’Efsa presto approvi, permettendone così la citazione in etichetta. Nell’attesa, quello che possiamo fare è comunicare ai consumatori gli aspetti benefici dell’extravergine, senza dimenticare il fatto che vadano sempre inquadrati in una dieta varia ed equilibrata. Chi conosce bene gli alimenti, anche dal punto di visto sensoriale e gustativo, sa dare loro il giusto valore e quindi li usa in modo più appropriato”. Prestare attenzione alle qualità salutari dell’olio extravergine, infatti, non significa far passare in secondo piano le note sensoriali. “L’extravergine può essere una piccola opera d’arte: va valutato nel suo complesso, non può essere ridotto al conteggio dei polifenoli. Esistono anche oli ricchissimi di polifenoli ma molto grossolani”.
L’importanza della stabilizzazione dell’olio extravergine
Conoscere è fondamentale per scegliere l’olio extravergine giusto e inserirlo correttamente nella dieta. Vale quindi la pena di fare un passo indietro per chiarire uno degli aspetti su cui si fa più spesso confusione, cioè la differenza tra oli filtrati e non filtrati. Al termine della spremitura delle olive, l’olio contiene piccole particelle di polpa di oliva e minuscole gocce d’acqua emulsionate in sospensione. Queste sostanze tendono a depositarsi sul fondo, diventando morchia e innescando processi degradativi dell’olio. Stabilizzare un olio significa effettuare tutte quelle pratiche, sia in fase di lavorazione sia in fase di stoccaggio, che permettono di mantenere il più a lungo possibile le qualità dell’olio extravergine. Il metodo più antico è la decantazione naturale: si lascia depositare per alcune settimane il sedimento per poi travasare l’olio, approfittando del fatto che questi elementi non si mescolano tra loro. La seconda strada, più efficiente e moderna, è la filtrazione.
“Negli ultimi anni il consumatore mostra una predilezione per gli oli non filtrati, che vengono presentati con attributi come naturale, integrale, derivante direttamente dal frantoio. Ma sono luoghi comuni, perché tutti gli oli vengono dal frantoio e qualsiasi extravergine, per legge, non presenta difetti sensoriali al panel test”, commenta Labarile. È della stessa opinione Alessandro Parenti, professore associato presso l’università degli Studi di Firenze. “La filtrazione depaupera l’olio di minime quantità di polifenoli e aromi, però lo stabilizza e permette di conservarlo molto meglio nel tempo. Da uno studio su 52 soggetti emerge che, dopo dieci giorni, le differenze percettive tra un olio filtrato e uno non filtrato sono azzerate; dopo due mesi, i consumatori preferiscono quello filtrato”. L’olio non filtrato – conclude – andrebbe eventualmente consumato immediatamente, prima che si inneschino i processi di degradazione.
Per far capire meglio cosa intende, il professor Parenti ci dà qualche anticipazione sul suo ultimo paper scientifico, al momento in attesa di pubblicazione. “Abbiamo preparato dei terreni di coltura per misurare la crescita dei microrganismi. Questi ultimi si sono sviluppati solo nell’olio non filtrato e non in quello filtrato. L’acqua presente nell’olio grezzo, infatti, contiene zuccheri: questo fa sì che i microrganismi fermentino e producano aromi sgradevoli (off flavour) che l’olio assorbe come una spugna”. Quest’evidenza ha dato una possibile risposta a un interrogativo che si poneva da tempo. “Come assaggiatore, mi domandavo perché fosse così comune il difetto di riscaldo o morchia, dovuto usualmente alla fermentazione delle olive post-raccolta o a errori di lavorazione. Mi sembravano errori troppo madornali per essere così diffusi. Probabilmente infatti il fenomeno avveniva successivamente, nell’olio prodotto ma non filtrato”. Il prossimo obiettivo? Capire con precisione quando insorgono questi difetti.
Verso una cultura dell’olio extravergine
Ciò non significa che gli oli grezzi siano pericolosi; semplicemente, richiedono delle precauzioni in più. Questi oli, spiega Labarile, vanno estratti nelle migliori condizioni, non devono essere troppo ricchi di frammenti grossolani e acqua di vegetazione e vanno travasati in serbatoio prima del confezionamento. Infine, vanno conservati in condizioni adeguate, a una temperatura compresa fra i 12 e i 18 gradi e al riparo dalla luce. Nella scelta della bottiglia da mettere in tavola entrano in gioco anche i gusti personali. “Se lo preferisce, nulla vieta al consumatore di scegliere un olio grezzo: l’importante è che non creda che l’assenza di filtrazione sia una garanzia ab origine della qualità. È semplicemente uno stato della materia prima, che necessita di cure maggiori”, precisa. “Bisogna fare cultura, insegnando alle persone a parlare non di olio ma di oli, proprio come si fa con i vini”, insiste Parenti. Anche secondo Labarile, la metafora del vino è particolarmente calzante: “In base alle materie prime, alla capacità del frantoiano, agli strumenti, alla cura nella conservazione, ci saranno degli oli assimilabili a dei grand cru, poi ci saranno degli oli comuni, e infine degli oli che presentano difetti e non possono essere classificati come extravergini. Questo principio è valido indipendentemente dal fatto che siano filtrati o meno”.
Etichetta a semaforo, l’Onu fa marcia indietro
Fare chiarezza è anche l’obiettivo delle autorità, nazionali e sovranazionali, alle prese con una questione intricata: come guidare i consumatori verso un acquisto, e quindi un’alimentazione, più consapevole? Negli ultimi anni è stata sperimentata in diverse forme la cosiddetta etichetta a semaforo. Ha aperto le danze il Regno Unito, che dal 2013 segnala in verde, giallo o rosso la quantità di ogni macro-categoria di nutrienti presente in 100 grammi di prodotto (zuccheri, sale, grassi e grassi saturi, oltre alle calorie). Prevede invece un solo voto complessivo il sistema Nutri-Score, scelto nell’autunno 2017 dalla Francia, imitata poi da Belgio e Spagna; al giudizio si arriva facendo una media tra gli elementi potenzialmente negativi (come il sale) e quelli benefici (come le fibre). Svezia, Danimarca e Norvegia optano invece per Green Keyhole, un simbolo che segnala gli alimenti più salutari. Le big dell’industria alimentare (Coca-Cola, Mars, Nestlè, Mondelez, Unilever e PepsiCo) avevano lanciato il sistema Evolved Nutrition Label, che però è stato molto criticato perché non prendeva come riferimento i 100 grammi di prodotto bensì una porzione standard, che veniva decisa in autonomia dall’azienda. Polemiche che hanno convinto prima Mars e poi Nestlè a fare marcia indietro sull’esperimento, che è stato quindi sospeso.
Non si può negare che il sistema dei semafori sia, di per sé, molto semplice. Forse addirittura troppo. Un alimento come l’olio extravergine, essendo un grasso, verrebbe automaticamente bocciato; poco importa che sia il grasso in assoluto migliore per la salute umana. Farebbero la stessa fine anche il Grana Padano, il Parmigiano Reggiano e, secondo le stime di Coldiretti, l’85 per cento in valore del Made in Italy a denominazione di origine (Dop). Avrebbero vita molto più facile i prodotti industriali, le cui ricette possono essere riformulate ad hoc per apparire sotto una luce migliore (per esempio sostituendo lo zucchero con i dolcificanti artificiali). L’attività diplomatica italiana quindi è stata particolarmente presente nel percorso che ha portato alla risoluzione sulla nutrizione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Una coalizione di sette paesi (Francia, Brasile, Norvegia, Indonesia, Sudafrica, Thailandia e Senegal) aveva infatti proposto di raccomandare l’etichetta a semaforo, accompagnandola a misure restrittive per i prodotti ritenuti nocivi, come tasse e limiti alla pubblicità. Nel testo finale approvato lo scorso 14 dicembre, però, non ce n’è traccia.
Buone notizie: risoluzione @UN su salute globale e nutrizione non menziona sistema di #etichettatura. Sventato pericolo di diffusione dei terribili semafori?che penalizzano le nostre eccellenze condizioni gli acquisti e non informano i consumatori. https://t.co/IWRu5ogo65 pic.twitter.com/jsQ6wmK2MD
— Paolo De Castro (@paolodecastro) 13 dicembre 2018
Insomma, è tutto da rifare: per scoraggiare il consumo eccessivo di cibi insalubri bisognerà trovare un’altra strada. “Speriamo che sia possibile raggiungere quanto prima un sistema armonizzato di valutazione e qualificazione dei valori nutrizionali degli alimenti, capace di dare informazioni veritiere e complete ai consumatori e che possa essere adottato in tutti gli Stati membri. In modo da raggiungere lo scopo che dal principio ci si era prefissati: garantire ai cittadini europei un uniforme ed efficace strumento di informazione sugli alimenti”, auspica Paolo De Castro, europarlamentare e primo vicepresidente della commissione Agricoltura e sviluppo rurale.
Molto più sfidante, ma anche più produttivo a lungo termine, sarebbe lavorare sull’informazione e sull’educazione alimentare. Secondo De Castro, un esempio vincente è il programma per la distribuzione di frutta e latte nelle scuole messo in campo dall’Unione europea. Di recente è stata proposta anche “l’istituzione di una giornata europea sulla dieta mediterranea, proprio per rendere più consapevoli i consumatori europei dell’impatto positivo che ha sulla salute ma anche sull’ambiente”, continua. “Vorrei poi ricordare un altro elemento che viene spesso ignorato nel dibattito sull’obesità e il sovrappeso, ovvero la correlazione positiva che questi fenomeni hanno con il livello di reddito, oltre che di istruzione. L’aumento di obesità e sovrappeso sono legate anche alla crescita dell’insicurezza economica nel ceto medio”, conclude. In sintesi, demonizzare un singolo prodotto (o, viceversa, presentarlo come una panacea) è la strada più veloce e d’impatto, ma anche quella più semplicistica. L’alimentazione è qualcosa di molto più vasto e sfaccettato di un bollino verde o rosso da applicare a questo o quell’alimento: è una dimensione fondamentale della salute, del benessere, della cultura e della socialità.
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