Le isole del Pacifico chiedono al Giappone di non sversare in mare le acque di Fukushima

I Paesi delle isole del Pacifico contro la decisione del Giappone di sversare entro l’estate le acque della centrale nucleare di Fukushima nell’Oceano.

  • Il Giappone sverserà entro l’estate oltre un milione di tonnellate di acqua della centrale di Fukushima
  • Le isole del Pacifico temono per la possibile radioattività delle acque.
  • A rischio, secondo i 18 Stati, la salute del mare, dei pesci, dell’economia locale e delle persone.

Il Pacific Island Forum, che comprende 18 nazioni insulari del Pacifico, ha chiesto al Giappone di ritardare il rilascio nell’oceano dell’acqua proveniente dalla centrale nucleare ormai distrutta di Fukushima, per timore che l’oceano, e di conseguenza la pesca, possano esserne contaminate da scorie radioattive.

Taniche di acqua vicino la centrale di Fukushima
Taniche di acqua vicino la centrale di Fukushima © Tomohiro Ohsumi/Getty Images

Il governo giapponese ha dichiarato la scorsa settimana che le acque di Fukushima potrebbero essere sversate in mare tra la prossima primavera e l’estate, sollevando le preoccupazioni delle nazioni insulari che ancora risentono degli effetti dei test nucleari condotti dalla Francia ormai tre decenni fa.

Il Giappone aveva approvato il futuro sversamento di oltre un milione di tonnellate di acqua dal sito di Fukushima, chiuso in seguito ai gravi danni causati dal terremoto e dallo tsunami che hanno colpito il Giappone l’11 marzo 2011, dopo il trattamento effettuato nell’aprile 2021. Lo scorso 22 luglio l’Autorità giapponese per la regolazione del nucleare aveva dato parere definitivo, attestando che l’acqua tuttora contenuta a Fukushima non contenesse più elementi radioattivi, promuovendo il piano della Tepco, il gestore dell’impianto di Dai-Chi dove è avvenuto il disastro nel 2011.

L’acqua che il Giappone vuole immettere nell’oceano è stata utilizzata in questi anni per raffreddare i reattori della centrale nucleare di Fukushima, i cui reattori, dopo il drammatico incidente del 2011 hanno ancora bisogno di questo tipo di trattamento per evitare nuove fughe radioattive. Per raffreddare i reattori servono dai 150 ai 200 metri cubi di acqua al giorno che, una volta utilizzata, resta fortemente contaminata, sebbene sottoposta a trattamenti giudicati sufficienti dall’Autorità giapponese per la regolazione del nucleare.

I dubbi dei paesi insulari 

I “Pif” (che comprendono piccole realtà come le Isole Cook, gli Stati Federati di Micronesia, Figi, Kiribati, le Isole Marshall, Nauru, Niue, Palau, Papua Nuova Guinea, Samoa, le Isole Salomone, Tonga, Tuvalu, Vanuatu, Nuova Caledonia e Polinesia Francese, ma anche grandi paesi come Australia e Nuova Zelanda) ancora non si fidano: secondo gli stati insulari infatti lo sversamento delle acque di Fukushima potrebbe avere un impatto importante sulle zone di pesca su cui fanno affidamento le economie insulari e da cui proviene fino alla metà del tonno mondiale.

“Siamo fermi sulla nostra posizione: che non debba esserci alcuno scarico fino a quando tutte le parti non verificheranno che sia sicuro”, ha detto mercoledì il segretario generale del Pif, Henry Puna, in una riunione pubblica trasmessa in streaming a Suva, nelle Fiji. “Dobbiamo impedire azioni che ci possano portare verso un altro grave disastro di contaminazione nucleare per mano di altri”, ha aggiunto, affermando che gli abitanti delle isole del Pacifico hanno continuato a sopportare quotidianamente gli impatti a lungo termine dell’eredità dei test nucleari.

I test di Francia e Stati Uniti 

Gli Stati Uniti hanno condotto test nucleari nelle isole del Pacifico negli anni ’40 e ’50, e da allora le Isole Marshall continuano a fare campagna per ottenere maggiori risarcimenti da Washington per gli effetti duraturi sulla salute e sull’ambiente: secondo uno studio della Columbia University di New York, ancora nel 2019 i livelli di radiazione di quattro atolli delle Marshall erano fino a mille volte superiori a quelli di Chernobyl e della stessa Fukushima.

La Francia ha condotto test atomici tra il 1966 e il 1996 presso l’atollo di Mururoa nella Polinesia francese nell’Oceano Pacifico meridionale: secondo documenti dello stesso ministero della Difesa francese Tahiti fu esposta a livelli di radioattività 500 volte superiori a quelli massimi consentiti.

E secondo Ken Buesseler, scienziato della Woods Hole Oceanographic Institution, l’ok allo sversamento dell’acqua d Fukushima non sarebbe supportato da dati sufficienti. Secondo l’istituto oceanografico, ma anche secondo molte associazione ambientaliste dei 17 paesi Pif, l’acqua sarebbe sì stata filtrata per rimuovere la maggior parte degli isotopi, ma conterrebbe comunque tracce di trizio, un isotopo dell’idrogeno difficile da separare dall’acqua. E la radioattività, spostando attraverso l’oceano con le correnti e le maree, rischiare di contaminare i pesci, e da lì l’intera economia insulare oltreché ovviamente la salute dei consumatori.

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