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L’ex ambasciatore italiano in Costa d’Avorio Paolo Sannella ha fatto chiarezza su cosa lega gli attacchi di Parigi all’attentato di Bamako, in Mali. L’apparenza inganna ancora una volta.
Gli attacchi di Parigi e l’attentato a Bamako sono collegati? Il Mali, situato nella regione del Sahel, è stato colonia francese per diverso tempo e oggi sono in molti a vedere un collegamento tra i due episodi di violenza, distanti solo una settimana l’uno dall’altro. Paolo Sannella, ex ambasciatore italiano in Costa d’Avorio e oggi presidente del Centro relazioni con l’Africa della Società geografica italiana, ha dato una chiave diversa, più profonda che mostra un volto del Sahel che non tutti conoscono.
L’attentato all’hotel Radisson della capitale del Mali Bamako è da considerare come un episodio collegato agli attacchi di Parigi?
L’attentato in Mali deve essere analizzato considerando la situazione di conflitto nel paese degli ultimi anni, alimentata da differenze etniche e culturali molto profonde. Una divisione latente che è sfociata in conflitto armato dopo il disastro libico e la conseguente migrazione verso il Mali dei combattenti che fuggivano dalla guerra con grosse quantità di armamenti, munizioni e denaro. Una situazione che ha ulteriormente alimentato l’instabilità sfociata nella guerra civile che ha insanguinato il paese. Il film Timbuktu racconta in modo drammatico come ciò si sia trasformato in forme di oppressione violenta ed odiosa mascherata o accompagnata da estremismo religioso a danno delle popolazioni locali. Nonostante questo, bisogna immaginare che l’attentato, a livello di tempistiche, sia stato anticipato sull’onda di quanto avvenuto a Parigi una settimana prima, ma questo non significa che dietro ci sia un’unica mente che manovra e coordina a distanza.
Quale ruolo deve assumere la comunità internazionale?
Ogni situazione di instabilità nel Sahel – Mali, Nigeria, Ciad – ha origine da un processo di decolonizzazione incompiuto o ancora in corso che ha lasciato spazio alla formazione di organizzazioni terroristiche e criminali. Una radice locale, storica e culturale. Oggi la scommessa dei paesi del Sahel e del Maghreb è trovare forme di governo inclusive e non esclusive, che tengano unite le diversità. I paesi occidentali dovrebbero limitarsi ad agevolare l’evoluzione di questo processo di inclusione senza intervenire militarmente come fatto finora, rovesciando regimi e governi autoritari.
L’aumento delle migrazioni dal continente africano e l’esplosione del numero di organizzazioni terroristiche è collegato?
Non c’è dubbio. Quando si disgrega lo stato centrale, si lascia spazio a potentati locali che finiscono con il sostenersi attraverso traffici illegali di essere umani, di droga, di armi diventando un pericolo per la popolazione e per la sicurezza internazionale.
Oltre alla politica, come influiscono i cambiamenti climatici sull’instabilità nel Sahel?
Il Sahel è la regione più a rischio del mondo. La questione del lago Ciad, ad esempio, è emblematica e riassume il dramma legato ai cambiamenti climatici. La sua portata si è ridotta a un decimo rispetto a 40 anni fa, mentre la popolazione che vive sulle sue coste sfruttando le sue risorse è in continuo aumento. Su questo fronte la comunità internazionale è assente, mentre dovrebbe chiedersi come aiutare le istituzioni politiche ed economiche locali nel sostenere i popoli. Questo serve non solo a dare una speranza, ma anche a “prosciugare” il lago in cui nuota il terrorismo. Non c’è dubbio che povertà e alienazione rappresentano una motivazione per l’aumento della violenza. Ci vogliono programmi di aiuto importanti anche per contenere il flusso migratorio dovuto a miseria e cambiamenti climatici. In questo senso, il Sahel deve essere una regione prioritaria per l’Europa.
Cosa pensa della scelta del Papa di aprire il giubileo straordinario in Africa?
Papa Francesco ha una visione di lungo periodo straordinaria. È un papa coraggioso che va al fondo dei problemi. Per dare la giusta attenzione ai problemi enormi di cui abbiamo parlato finora, cosa c’è di meglio che inaugurarvi uno degli eventi internazionali più importanti dell’anno? È rivoluzionario. Il Papa aprirà l’anno santo dalla cattedrale di un paese in guerra, la Repubblica Centrafricana, e dopo andrà a far visita a una moschea. È un messaggio che lancia anche a noi nella gestione dell’allerta terrorismo. Non si può reagire andando nel panico. Bisogna evitare strumentalizzazioni che sviano l’attenzione su conflitti religiosi che non esistono, ma agire nello specifico. Perché questi atti sono portati avanti da gruppi particolari e non dal popolo islamico verso cui dobbiamo nutrire il massimo rispetto.
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