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Nel quindicesimo anniversario dei fatti del G8, il Senato rispedisce alla Camera il disegno di legge sul reato di tortura.
L’esame del disegno di legge per introdurre anche in Italia il reato di tortura è sospeso fino a data da destinarsi. La decisione arriva nei giorni del quindicesimo anniversario del G8 di Genova, quando – nel luglio 2001 – le forze dell’ordine commisero abusi nella caserma di Bolzaneto a danno delle persone arrestate ingiustamente mentre si trovavano nella scuola Diaz. Il fatto che in quei giorni si sia commesso un reato di tortura lo dicono sia la Corte europea dei diritti dell’uomo, sia i magistrati italiani che hanno seguito il caso. Senza contare le numerose testimonianze delle vittime. Ma nel 2001 non esisteva il reato di tortura, per cui non poteva essere contestato a nessuno dei poliziotti, carabinieri, agenti e medici penitenziari finiti sotto processo (concluso con 37 prescritti e sette condannati). Le cose non sarebbero cambiate nemmeno a quindici anni di distanza perché il reato di tortura, ancora, non c’è.
La Convenzione Onu del 1989 definisce la tortura come “qualsiasi atto mediante il quale sono intenzionalmente inflitti a una persona dolore o sofferenze forti, fisiche o mentali, al fine di ottenere da essa o da una terza persona informazioni o confessioni, di punirla per un atto che essa o una terza persona ha commesso o è sospettata di aver commesso, di intimorirla o di far pressione su di lei o di intimidire od esercitare pressioni su una terza persona, o per qualunque altro motivo basato su una qualsiasi forma di discriminazione”.
Nella stessa Convenzione troviamo scritto che, per poter parlare di reato di tortura, l’azione deve essere realizzata da un pubblico ufficiale “o da qualsiasi altra persona che agisca a titolo ufficiale, o sotto sua istigazione, oppure con il suo consenso espresso o tacito”. Sempre la Convenzione obbliga gli stati ad inserire nel proprio diritto penale interno il reato di tortura.
Il ministro degli Interni Angelino Alfano ha affossato il testo in discussione al Senato spiegando che dovrà essere rivisto alla Camera dei deputati “per evitare ogni possibile fraintendimento riguardo l’uso legittimo della forza da parte delle forze di polizia”. Esultano Lega Nord, Forza Italia, Conservatori e Riformisti mentre protestano il Movimento 5 stelle e la sinistra. E il Partito democratico? Secondo quanto detto ai giornali da Luigi Zanda, capogruppo dei senatori del Pd, il partito avrebbe accettato “non volentieri la sospensione perché dobbiamo valutare la maggioranza che sostiene questo disegno di legge e auspichiamo sia più larga possibile”. Per Zanda “è arrivata l’ora di smetterla con l’argomento secondo il quale questo sarebbe un provvedimento diretto alle forze di polizia. Non è così, il ddl riguarda chiunque. Dobbiamo garantire al nostro Paese che verrà approvato presto, prima della pausa estiva. È un impegno che voglio prendere e che intendo rispettare”. Eppure la sensazione è che non se ne parlerà prima di settembre.
Il testo originale, approdato alla Camera dei deputati nell’aprile 2015, a pochi giorni di distanza dalla storica sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, è stato più volte modificato. Fin dall’inizio gli interessati al tema hanno definito quel disegno di legge “troppo timido” ma comunque “meglio di niente”. Come riportato da Altreconomia, dalla commissione giustizia del Senato di quell’anno uscì una nuova versione vista come un passo indietro a causa di espressioni ambigue come “violenze reiterate” e “crudeltà“, e con pene ridotte per i pubblici ufficiali. Il disegno di legge prevede la reclusione in caso di reato di tortura da 4 a 10 anni (da 5 a 12 in caso di aggravanti variabili a seconda del grado del pubblico ufficiale coinvolto). Se dal fatto deriva la morte quale “conseguenza non voluta”, dice la proposta di legge, la pena è la reclusione a trent’anni. Se la morte è causata da un atto volontario, la pena è l’ergastolo.
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