La proposta del governo di raddoppiare la tampon tax va nella direzione contraria alla parità di diritti

Il governo Meloni rialza la tampon tax al dieci per cento. Un passo indietro rispetto alla scena internazionale che promuove una tassazione ridotta o pari allo zero per cento.

Nel disegno di legge di bilancio 2024, che dovrà essere esaminato, eventualmente modificato e approvato dal Parlamento entro il 31 dicembre 2023 per entrare in vigore l’1 gennaio 2024, il governo Meloni non conferma il taglio dell’Iva al cinque per cento per assorbenti e tamponi per la protezione dell’igiene femminile, coppette mestruali e prodotti per la prima infanzia, raddoppiando la tassa al dieci per cento.

Secondo quanto riportato dalla presidente del Consiglio Giorgia Meloni, il governo ha deciso di non rinnovare la misura “per un fatto semplice: non ha funzionato“. La misura, infatti, non avrebbe funzionato in quanto, nonostante l’Iva fosse stata abbassata al cinque per cento con la legge di Bilancio 2023, era stato permesso ai negozianti di mantenere i rincari, senza di fatto alleggerire del taglio i prodotti per l’igiene femminile e per la prima infanzia.

tampon tax proteste in francia
Nonostante le agevolazioni dell’Ue l’unico Paese europeo ad aver abolito l’Iva sugli assorbenti igienici è l’Irlanda © Jacques Demarthon / Getty Images

Questo, però, secondo Anna Rea, presidente dell’Associazione per la difesa e l’orientamento dei consumatori (Adoc), non è una valida ragione per raddoppiare nuovamente l’aliquota. “Il tema non è tanto portare dal cinque al dieci per cento l’Iva su tali prodotti perché i prezzi non sono diminuiti, anzi sono aumentati, dato che la maggior parte dei commercianti non ha ridotto i listini al pubblico”, ha dichiarato Rea.

In Italia, quella che riguarda la cosiddetta tampon tax, cioè l’aliquota ordinaria Iva sugli assorbenti per le mestruazioni, è una storia fatta di tagli e rincari, che si susseguono insieme ai governi e che, guardando agli ultimi eventi, vanno in una direzione opposta rispetto a quanto richiesto dall’Unione europea.

Una storia di tagli e raddoppi

In Italia l’Iva sugli assorbenti femminili è stata introdotta nel 1973 e, come per altri beni e servizi, è cresciuta nel tempo dal 12 al 22 per cento. Per anni sono stati sottoposti all’aliquota ordinaria del 22 per cento in quanto non erano considerati beni di prima necessità.

Il primo passo verso la diminuzione della tassa sugli assorbenti igienici era avvenuta nel 2019, quando l’allora Ministro dell’economia Roberto Gualtieri aveva annunciato su Twitter che “l’Iva su tamponi e assorbenti compostabili e biodegradabili passa dal 22 al cinque per cento”. La misura era arrivata dopo la bocciatura della proposta di alcune deputate di abbassare l’Iva al dieci per cento su tutti i prodotti igienici femminili e la stessa misura aveva provocato proteste in quanto non era considerata sufficiente per eliminare una disparità di genere.

Dopo anni di richieste di riduzione della tampon tax, era stato il governo Draghi ad abbassare l’aliquota sui prodotti igienici femminili, inserendo nella legge di bilancio del 2022 l’Iva al dieci per cento. Il governo di Giorgia Meloni aveva successivamente introdotto l’aliquota al cinque per cento sui prodotti igienici femminili e alimentari per l’infanzia  nella legge di bilancio 2023, fino a questo momento, in cui lo stesso governo ha nuovamente proposto di raddoppiarla.

La tampon tax in Europa

La situazione in Europa varia da Paese a Paese, passando dall’Ungheria che applica un’aliquota del 27 per cento fino a stati come la Spagna che ricorrono a un’aliquota del quattro per cento e il Lussemburgo che ha l’Iva più bassa d’Europa al tre per cento. Gli altri Stati si dividono tra chi impone un’Iva superiore al venti per cento come Danimarca, Svezia, Finlandia, o Bulgaria e chi, invece, la applica al dieci per cento come la Slovacchia – e probabilmente l’Italia a partire dal 2024 – o al cinque per cento come Francia e Polonia. L’unico Paese europeo ad aver abolito l’Iva sugli assorbenti igienici è l’Irlanda, rendendo i prodotti mestruali, tra cui assorbenti, tamponi e coppette mestruali, imponibili a tasso zero.

Un passo avanti da parte dell’Unione europea è stato fatto nel 2022, quando il Consiglio europeo ha rivisto la direttiva che consentiva di ridurre l’imposta sul valore aggiunto sui prodotti igienici sanitari come gli assorbenti solo del cinque per cento, consentendo ora agli Stati membri di esentare l’Iva sugli stessi prodotti. Nonostante l’agevolazione da parte dell’Unione europea, però, non ci sono stati significativi passi avanti da parte degli Stati membri rispetto all’azzeramento dell’aliquota.

Altri Paesi al di fuori dell’Unione europea hanno azzerato l’Iva sui prodotti igienici, ad esempio il Regno Unito, che nel 2021 ha abolito la tampon tax o il Kenya che, invece,  è stato il primo Paese ad azzerare l’aliquota su assorbenti e tamponi nel 2004. Anche se, come ha sottolineato Reuters, in un Paese in cui un terzo della popolazione vive con meno di 1,90 dollari al giorno, un pacchetto di assorbenti igienici – che costa circa settanta scellini kenioti (0,51 dollari) – rimane fuori portata.

L’azzeramento dell’aliquota, infatti, nonostante sia un considerevole passo avanti nella parità di genere e nel rispetto dei diritti delle persone che hanno le mestruazioni, non è ad oggi sufficiente a colmare le difficoltà lasciate da quella che viene chiamata period poverty.

La povertà mestruale e i rischi italiani

La period poverty, o povertà mestruale, è l’impossibilità economica di accedere a prodotti igienici e sanitari per le mestruazioni, e questo rappresenta spesso un ostacolo alla vita educativa, sociale ed economica di tutte le persone che hanno le mestruazioni.

Giuditta Bellosi, attivista di Period, think tank femminista intersezionale che si occupa di advocacy, policy e dati, ha spiegato a LifeGate che la povertà mestruale si articola principalmente in tre elementi:

  • la difficoltà economica nell’acquisto di prodotti igienici che riguardano il ciclo mestruale,
  • l’assenza di spazi per prendersi cura di sé come bagni privati e spazi per cambiarsi
  • l’assenza di tutto l’occorrente necessario per la gestione del ciclo mestruale, che vanno da asciugamani puliti a medicinali vari per la gestione del ciclo mestruale.

Bellosi ha sottolineato anche che in Italia non esiste un dato ufficiale sulla period poverty. “Il dato che abbiamo è il numero di donne in povertà assoluta in Italia che rispetto all’ultima indagine Istat del 2017 sono circa due milioni e mezzo, quindi il quattro per cento della popolazione italiana e l’otto per cento delle donne al momento in cui è stata condotta l’indagine. E noi abbiamo la certezza che essere in povertà assoluta implichi povertà mestruale”. Recuperare dati più aggiornati è complesso in quanto negli ultimi anni le indagini Istat sulla povertà assoluta ragionano sul concetto di nucleo familiare, analizzando età dei componenti, regione e comune di residenza e non vengono portate avanti, invece, analisi per genere, supponendo che tutti i componenti abbiamo lo stesso titolo di accesso sulle risorse comuni. “Ad oggi facendo un’assunzione banale basata sulla distribuzione della popolazione – 51 per cento donne e 49 per cento uomini – e sull’ultimo report sulla povertà di Istat”, ha spiegato Giuditta Bellosi, “possiamo stimare che circa 2,8 milioni di donne siano in povertà assoluta , quindi circa il nove per cento delle donne in Italia”. Un altro problema che riguarda la consapevolezza riguardo la portata della period poverty in Italia, secondo l’attivista di Period, è la totale mancanza di dati che riguardano le persone transgender, e questo provoca “un’assenza di dati importante”.

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Con la legge di Bilancio 2023, era stato permesso ai negozianti di mantenere i rincari © iStockphoto

La decisione del governo Meloni, se verrà confermata, avrà delle conseguenze anche, e soprattutto, sulle persone che già vivono in situazione di povertà mestruale. Bellosi ha spiegato che l’aumento dell’aliquota dovrebbe comportare circa un aumento della spesa annuale di 7,50 euro per ogni donna per l’acquisto dei prodotti igienico sanitari necessari nel periodo mestruale, “stiamo parlando di un aumento che può non sembrare così alto, ma che ha in realtà un impatto significativo sulla vita delle persone che vivono in condizioni di povertà”. Inoltre, un altro aspetto che ha sollevato Giuditta Bellosi è il fatto che, quando si parla di period poverty non si deve solo guardare al costo degli assorbenti o dei prodotti per l’igiene, ma anche ad altri costi che le persone che mestruano devono sostenere, come ad esempio quello per i medicinali che vengono assunti nelle varie fasi del ciclo.

L’azione del governo italiano non va nella direzione del rispetto dei diritti e dell’eliminazione della parità di genere, ma all’interno dell’Unione europea ci sono alcuni esempi virtuosi volti a combattere la period poverty.

La Scozia, ad esempio, nel 2022 è diventato il primo Stato al mondo a fornire gratuitamente alle donne assorbenti e prodotti per il ciclo mestruale.  La legge contro la povertà mestruale era stata presentata nel 2019 dalla parlamentare Monica Lennon ed è stata approvata nel novembre del 2020, entrando in vigore nel 2022. Grazie a questa legge le donne che si trovano in gravi ristrettezze economiche possono avere gratis i prodotti per il ciclo mestruale all’interno delle strutture pubbliche, incluse le scuole e le università.

Secondo il Parlamento europeo la povertà mestruale rappresenta un problema costante nell’Ue e nel 2020 stimava che una ragazza su dieci non potesse permettersi prodotti sanitari. Sempre l’Unione europea ha evidenziato che “i prodotti per l’igiene femminile e i prodotti e i servizi per la cura dei bambini, degli anziani e delle persone con disabilità non sono ancora considerati beni essenziali in tutti gli Stati” invitando tutti i Paesi membri a “eliminare la cosiddetta tassa sui prodotti per l’igiene femminile – tampon tax, avvalendosi della flessibilità introdotta dalla direttiva sull’Iva e applicando esenzioni o aliquote Iva allo zero per cento a questi beni essenziali”.

Sicuramente l’abbassamento o, addirittura, l’azzeramento dell’Iva sui prodotti igienici non è l’unica soluzione possibile per combattere la disparità e la povertà mestruale, ma è uno strumento che va in quella direzione. Aumentare l’aliquota come ha proposto il governo italiano è un’azione che, invece, va nel verso opposto.

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