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Daraja è una parola swahili che significa ponte. Darajart è un luogo d’incontro tra artisti provenienti da tutto il mondo e la vita pulsante di Nairobi, in Kenya. Una residenza artistica che quest’anno darà vita a un carnevale nelle vie della città.
Ho ricevuto Darajart il 31 marzo del 2010. È arrivato inaspettatamente una mattina con una email, da Nairobi, in Kenya, a Perdaxius, nel Sulcis.
Io, Marco e Matteo avevamo da poco dato vita con Cherimus, nel dicembre del 2009, al primo presepe di Perdaxius, coinvolgendo nel nostro lavoro tutti i bambini delle scuole elementari del paese. Dopo un’estate di crisi e ripensamenti, dovuti alla difficoltà di creare un ponte fra il paese e l’arte era nata l’idea di lavorare con i bambini, nella speranza che attraverso di loro, e con loro, potessimo scalfire anche la corazza di diffidenza delle famiglie. Dopo quelle due settimane di lavoro ci siamo accorti, però, che ad essere stati scalfiti eravamo stati soprattutto noi, e che il nostro lavoro non sarebbe più stato lo stesso.
Leggi tutti gli articoli sul progetto Carnival! Nairobi
All’indomani della prima esperienza del presepe perdaxino, Marco partiva per Nairobi, ospite di Amani, lasciandomi con la raccomandazione: “Ricordati, torno solo se mi chiami tu tu tu tu”. Si apriva per ciascuno di noi un periodo ricco di idee e sperimentazioni.
Il 22 marzo, appena nove giorni prima di inviare Darajart, e a tre mesi dal primo presepe, Marco scriveva: “Io qui bene, entro giovedì dovrei finire e inviare a qualcuno di voi la mia partecipazione per MiArt, che sarà un video sui mezzi di trasporto di qua (Matatu connection, ndr). In settimana dovrei iniziare a fare un modellino in scala di un matatu (appunto questi camioncini) con tanto di ruote, carrozzeria aerografata, impianto audio. Poi una volta finito, credo sarà grande un metro per un metro, lo porterò in Italia. […] Già dalle prossime settimane vorrei sperimentare un workshop con dei ragazzi di strada, andare per la baraccopoli, collezionare materiale per costruire delle dinamo, dei generatori manuali di corrente realizzati con materiali di scarto e vedere cosa esce, poi si penserà al design, poi ad altro, poi ad altro ancora”.
Un fiume incontenibile di idee, proposte e desideri.
Non credo sia un caso che Marco abbia scelto la parola daraja (ponte, in lingua swahili) per battezzare il suo progetto. Dal ponte nel Sulcis al ponte di Nairobi, sempre attraverso l’arte. Un ponte ancora più ambizioso all’apparenza, che alimenta l’idea di un possibile incontro fra artisti di tutto il mondo e la vita pulsante di Kibera a Nairobi. Artisti provenienti da diverse discipline (musica, scrittura, cinema, arti visive), sarebbero stati invitati a vivere e a lavorare nella più grande baraccopoli dell’Africa sub-sahariana.
La mia reazione davanti a un così grandioso progetto non è stata onestamente fra quelle di cui andare più fiera. Dopo aver letto il pdf, curatissimo nei contenuti, nella scelta delle immagini e nella grafica, ho pensato fra me: che bellissimo progetto, ma anche che progetto irrealizzabile, impossibile.
Tutto ciò che questa nostra vita esprime – pensieri, sforzi, sguardi, sorrisi, parole, sospiri – tutto tende verso l’altra sponda, come verso una meta, e solo con questa acquista il suo vero senso. Tutto ci porta a superare qualcosa, a oltrepassare: il disordine, la morte o l’assurdo. Poiché tutto è passaggio, è un ponte le cui estremità si perdono nell’infinito e al cui confronto tutti i ponti di questa terra sono solo giocattoli da bambini, pallidi simboli. Mentre la nostra speranza è sull’altra sponda.
Ivo Andric
Ora siamo nel 2015 e io mi trovo qui, in una Cherimus diversa, senza Marco che purtroppo nel 2011 ci ha lasciato. Insieme a noi gli amici di Amani e nuovi amici, accorsi per costruire questo ponte. Questa Darajart sarà diversa da quella pensata da Marco, eppure è la stessa. Lo stesso è il desiderio che la anima, altre sono le persone che le daranno vita. E questa è senz’altro la cosa più difficile da accettare.
25 febbraio 2018. Il viaggio verso Darajart continua. Cherimus è cresciuta ancora, abbiamo scritto nuovi progetti. E siamo di nuovo a Nairobi.
Ci è venuta incontro la regione Sardegna, con la sua legge n. 19 del 1996: Norme in materia di cooperazione con i Paesi in via di sviluppo e di collaborazione internazionale. Grazie a questo bando l’anno scorso abbiamo realizzato Ciak! Kibera, la prima edizione di Darajart. In quell’occasione abbiamo lavorato a Kivuli, uno dei centri di Amani, con un gruppo di ex ragazzi di strada e abbiamo dato vita ai loro sogni in un mese di laboratori, poi confluiti in un videoclip musicale con l’aiuto di musicisti, registi e artisti. A Kivuli abbiamo lavorato in stretta collaborazione con Chiara Avezzano e Boniface Okada, di Amani e Koinonia. Abbiamo condiviso idee e cucina. Così, da un’ispirazione di Boniface, è nato Carnival!Nairobi: proseguire il progetto per le vie della città e inventare un carnevale, che in Kenya per ora non esiste, coinvolgendo questa volta i ragazzi che vivono per strada. Un carnevale nuovo, dove sia possibile essere quello che si vuole.
L’idea di reinventare sé stessi attraverso una maschera per disvelare poi la propria identità in una immaginifica parata finale, potrebbe essere utile per coinvolgere i ragazzi e convincerli a cambiare vita, rafforzando il lavoro degli educatori di strada? Assistere allo spettacolo del proprio sé messo in scena, con l’aiuto di artisti e musicisti, in una sfilata nel cuore della città, di cui noi per primi ignoriamo la grammatica elementare, potrà aiutare ad abbattere i pregiudizi che aggravano la condizione di emarginazione? Riusciremo a far breccia? Ci concederanno i ragazzi il loro tempo, e si concederanno l’occasione di ricominciare a sognare?
Non lo sappiamo ancora, ma è possibile, e quindi bisogna provare.
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